mercoledì 2 Aprile 2025

Trump senza freni minaccia dazi a Putin, bombe all’Iran e piani militari per la Groenlandia

Donald Trump è tornato a lanciare minacce contro chiunque non si adegui alle sue decisioni. In risposta alle dichiarazioni di Putin, che ha suggerito di porre Kiev sotto un’amministrazione temporanea per svolgere nuove elezioni e siglare gli accordi di pace, Trump si è detto «molto arrabbiato» e pronto ad aumentare i dazi sul petrolio russo. Sempre a proposito di dazi, mercoledì 3 aprile dovrebbero arrivare nuovi annunci, questa volta su scala globale, contro chiunque decida di rispondere alle sue tariffe. Ancora più duro l’approccio nei confronti dell’Iran che, visto lo stallo nei dialoghi sul programma nucleare, il presidente ha minacciato senza mezzi termini di bombardare e colpire con tariffe secondarie. Trump ha detto di non escludere un intervento militare anche in Groenlandia. In generale, il magnate sembra voler applicare la logica del più forte anche sul fronte della politica interna, tanto da aver anticipato di voler correre per un terzo mandato, vietato dalla Costituzione degli Stati Uniti.

Le dichiarazioni di Trump sono arrivate una di seguito all’altra a partire da venerdì 28 marzo. Dopo aver ricucito i rapporti con Zelensky e, almeno apparentemente, riaperto la strada a un potenziale accordo sulle terre rare, Trump ha difeso la legittimità di Zelensky, messa in discussione dal presidente Putin. In un’intervista alla rete statunitense NBC, Trump ha affermato di essere «molto arrabbiato» (il termine usato è «pissed off», traducibile più letteralmente con «incazzato») con il presidente russo, con cui prevede di parlare in settimana. La dichiarazione è arrivata nella giornata di venerdì, dopo che Putin ha suggerito di porre l’Ucraina sotto una forma di amministrazione temporanea per consentire lo svolgimento di nuove elezioni e facilitare la firma di accordi definitivi per un cessate il fuoco, mettendo in discussione la credibilità del presidente ucraino. La proposta è stata ritenuta inaccettabile dal magnate, che ha così minacciato dazi fino al 50% su tutto il petrolio russo qualora ritenesse che Mosca ostacoli i suoi sforzi per porre fine alla guerra in Ucraina. Ha aggiunto che le tariffe potrebbero entrare in vigore entro un mese, a meno che non venga raggiunto un cessate il fuoco. Nell’arco di due giorni, il presidente USA ha già cambiato l’oggetto delle sue minacce, parlando direttamente a Zelensky: secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Reuters, domenica Trump ha dichiarato che il presidente ucraino vuole tirarsi indietro dall’accordo sui minerali critici, sottolineando che «se lo dovesse fare avrebbe dei problemi; grossi, grossi problemi».

Gli sforzi – e le minacce – di Trump sono arrivati anche in altre aree del vecchio continente, dove sono continuati tanto il braccio di ferro sui dazi quanto le pressioni in Groenlandia. Lo stesso venerdì, il vicepresidente JD Vance è arrivato sull’isola danese e ha visitato la base militare statunitense Pituffik, dove ha pronunciato un discorso per rimarcare le ambizioni statunitensi. Vance ha accusato la Danimarca di non difendere adeguatamente la Groenlandia, sostenendo che gli USA le garantirebbero maggiore tranquillità e sicurezza dalle ingerenze esterne. Il vicepresidente ha infatti sottolineato che il Paese ha bisogno dell’isola per questioni di sicurezza nazionale e internazionale e che in molti, Cina in primis, avrebbero gli occhi sulla Groenlandia. Sebbene Vance abbia tranquillizzato gli animi affermando che non crede ci sarà bisogno di un intervento militare da parte degli Stati Uniti, Trump, in occasione della visita del vicepresidente, ha sottolineato di non escludere l’opzione e che, in una forma o nell’altra, gli USA controlleranno l’isola. La Groenlandia è effettivamente una terra particolarmente strategica negli interessi di Trump, perché è dotata di diverse risorse e si colloca in un’area sensibile del Mar Artico. In generale, i leader danesi e quelli groenlandesi non hanno mai risparmiato le critiche verso le affermazioni dell’amministrazione statunitense e, anche in questa circostanza, hanno sottolineato che l’isola non è in vendita e che le pressioni e le accuse statunitensi sono da considerarsi «inaccettabili».

Spostandosi a est, e precisamente in Iran, le minacce di Trump si sono fatte molto più concrete. Il presidente lamenta lo stallo registratosi nei dialoghi sulla revisione del programma nucleare del Paese. In particolare, gli USA chiedono all’Iran di ridurre le attività nucleari e minacciano di bombardare il Paese e di introdurre nuove sanzioni e nuovi dazi. Teheran ha affermato di non voler avere colloqui diretti con Trump, ma si è detta pronta a svolgere colloqui indiretti. L’Ayatollah Khamenei ha inoltre affermato che qualsiasi attacco non avverrà senza risposta e ha smentito le accuse secondo cui l’Iran starebbe aumentando le attività nucleari per produrre armi atomiche. Questa situazione si inserisce in un contesto di crescenti tensioni tra Iran e Stati Uniti: nel 2017, durante il suo primo mandato, Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo nucleare con l’Iran siglato nel 2015, che introduceva limitazioni sulle attività nucleari del Paese in cambio di un alleggerimento delle sanzioni. Trump ha così reintrodotto sanzioni economiche contro l’Iran, che ha ripreso le attività di arricchimento dell’uranio oltre i limiti stabiliti dall’accordo.

Nei primi due mesi e mezzo di amministrazione, Trump ha sempre portato avanti la tattica diplomatica del “bastone e della carota”, alternando, sia in faccende interne che in politiche estere, atteggiamenti gratificanti e aperti al dialogo a tecniche persuasive di stampo fortemente autoritario. Lo si è visto nella politica dei dazi, prima annunciati, poi ritirati per qualche mese, successivamente glorificati, e forse ancor di più con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che da solido alleato è diventato «comico mediocre e dittatore non eletto» da umiliare in mondovisione, per poi tornare a essere un partner da difendere strenuamente. In generale, l’approccio sembra essere sempre quello: avanzare grandi richieste e minacciare gravi ritorsioni per suscitare una reazione, aspettare una risposta, e riproporre la stessa logica, fino all’ottenimento del risultato sperato.

[di Dario Lucisano]

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2 Commenti

  1. Se fossimo europei seri ed intelligenti, governati da politici e non da burocrati, più che riarmarci contro l’ Oriente continentale, dovremmo farlo contro l’ Occidente transatlantico. Poi, di seguito, instaurare nuovi rapporti di interscambio e di buon vicinato con la Russia: il vero scacco matto allo zio Sam. Per fare ciò di soldi ne abbiamo a bizzeffe, basta far stampare Euri alla BCE, come disse allora il perfido banchiere “costi quel che costi”. Un bel pesce d’aprile…

  2. Ricordo che anche durante la precedente amministrazione Trump aveva intenzione di attaccare l’Iran. Consultatosi poi coi militari sulle possibili conseguenze, questi gli spiegarono che comunque l’Iran sarebbe stato in grado di distruggere la flotta Usa nel mar Persico. Il che avrebbe comportato la morte di circa 5mila Marines. Al che Trump rinuncio’ all’attacco perché non voleva “sacrificare la vita di tanti americani”.

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