Il ministero dell’istruzione ha pubblicato le Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025, che presentano le linee guida per le scuole materne, elementari e medie. Sin da ben prima della sua pubblicazione il documento ha attirato fiumi di analisi, commenti, editoriali e dichiarazioni, provenienti da intellettuali e giornalisti che hanno dato risalto a dettagli di poco conto, dando l’idea che nessuno abbia letto il documento per intero. Come tanti hanno scritto, le Nuove indicazioni avanzano un’idea di cultura tendenzialmente tradizionalista, eurocentrica e nazionalista. Lo fanno, tuttavia, non reintroducendo il latino curricolare o proponendo l’apprendimento di poesie a memoria, bensì riformando la visione disciplinare delle materie e il concetto stesso di insegnamento e studente. Noi de L’Indipendente abbiamo deciso di prenderci il tempo necessario per leggere integralmente il documento, per poter presentare nella maniera più corretta e completa possibile le modalità in cui il governo intende declinare la propria idea di scuola e formazione.
Le modifiche introdotte
Introdotte per la prima volta nel 1999, le indicazioni per la scuola servono a orientare la didattica e organizzare i curricula degli istituti. Il documento di Valditara introduce diverse novità, in primo luogo nell’insegnamento della disciplina storica. Le Nuove indicazioni elencano la lista delle conoscenze obbligatorie attese dagli studenti di elementari e medie, fornendo un lungo catalogo di contenuti da spiegare in classe, suddividendoli anno per anno. Vale la pena notare che questa modalità di presentazione delle conoscenze attese risulta assente in tutte le discipline diverse da quella storica.

In generale, alle elementari la storia verrà insegnata sotto forma di narrazione e non più basandosi sulle fonti. Il primo anno deve servire a introdurre l’alunno alla disciplina attraverso lo studio di testi classici come la Bibbia, l’Iliade e l’Odissea; il secondo anno sarà interamente dedicato alla storia d’Italia e la sua costituzione come nazione nel periodo risorgimentale, con abbozzi di educazione civile; dal terzo al quinto anno, infine, lo spazio dedicato alla preistoria e alle società orientali viene ridotto all’osso e l’insegnamento si concentra prevalentemente sulle grandi vicende della storia greca e romana. Alle medie, invece, si partirà da Carlo Magno per arrivare a Mani Pulite, assumendo, come alle elementari, un punto di vista quasi esclusivamente occidentale.
Eurocentrismo e suprematismo
«Solo l’Occidente conosce la Storia». Sono queste le parole con cui viene presentato l’indirizzo della disciplina storica, che mostrano chiaramente l’intento ideologico del documento. Valditara procede così a spiegare, con toni esplicitamente eurocentrici, le presunte ragioni per cui l’Occidente sia l’unica civiltà degna di fregiarsi di una cultura storica. Questo approccio viene consolidato dalla cancellazione dell’insegnamento della geostoria: essa, infatti, apre a un’interpretazione interdisciplinare della materia e fornisce le competenze basilari per avvicinarsi a quel campo della storiografia definito “Storia Globale”. Questo metodo, sempre più utilizzato in ambito accademico, mira a studiare gli eventi da un punto di vista mondiale, inserendoli all’interno di una narrazione interconnessa su scala – appunto – globale. Preferirvi l’approccio classico della storiografia nazionale, oltre a essere poco al passo coi tempi, riafferma quella stessa logica eurocentrica – e a tratti suprematista – di cui è intrisa la presentazione della materia.
Sempre in termini disciplinari, anche la riduzione all’essenziale dello studio della preistoria mostra la tendenza ideologica del documento. Negli ultimi anni, infatti, lo studio della preistoria sta venendo messo fortemente in risalto, in virtù dell’evolversi delle discipline scientifiche, dell’antropologia e dell’archeologia. All’interno del dibattito accademico c’è chi sta iniziando a riconsiderare la stessa definizione di “storia”, ripensando quella che per decenni è stata fissata come sua simbolica data di inizio, che viene fatta coincidere con l’avvento della scrittura. La riproposizione dell’insegnamento della storiografia nazionale, focalizzata sul solo «Occidente» a scapito della preistoria, costituisce un enorme passo indietro dal punto di vista disciplinare, sottolineando ancora una volta la tendenza eurocentrica e tradizionalista delle Nuove indicazioni.
Nazionalismo

La volontà di promuovere una lettura della storia tradizionalista ed eurocentrica si traduce in ultima istanza come una proposizione dell’insegnamento della disciplina in chiave nazionalista. Gli intenti nazionalisti sono ben visibili tenendo a mente la chiave di lettura disciplinare che viene proposta dal documento e guardando le conoscenze attese alla fine del secondo anno di elementari. Spiegare a bambini di sette e otto anni la costituzione dell’Italia in senso nazionale, senza prima avere fornito loro un’adeguata introduzione ai metodi della stessa disciplina storica, sembrerebbe costituire un tentativo di indottrinamento in giovane età. Inoltre, dal punto di vista contenutistico e disciplinare, scegliere di isolare il periodo risorgimentale senza avere prima spiegato il processo che ha portato all’emergere dell’idea di Nazione non può che risultare in una lettura della storia faziosa e parziale, intrinsecamente connotata politicamente.
Nei vari moti nazionalisti che hanno investito l’Europa, i teorici della Nazione risignificano in termini politici quel concetto che fino alla rivoluzione francese non era mai stato connotato politicamente. La Nazione diventa l’espressione di una comunità che detiene la sovranità all’interno di un territorio e, precisamente, quella di un popolo che condivide, a discrezione dei pensatori, lingua, religione, sangue, lignaggio, cultura, luogo di provenienza… i concetti di popolo, patria e Nazione, colorati da una nuova sfumatura politica, finiscono così per fondarsi su elementi precostituiti a cui viene attribuito un valore eterno: non sono solo gli uomini dall’Ottocento in poi a essere italiani, ma lo erano anche Dante, Petrarca e Boccaccio, Galileo e Bruno, l’Ariosto e Tasso, in quanto rappresentanti della “cultura italiana” e dotati di quelle stesse caratteristiche che servono a essere definiti italiani. Spiegare il Risorgimento senza avere prima spiegato come si sia arrivati a dare un nuovo significato al concetto di Nazione, presenta tale concetto non più come frutto di un processo storico, ma come quella stessa verità granitica e assoluta che i risorgimentali gli attribuivano, ritraducendolo ideologicamente.
Individualismo, tradizionalismo e conservatorismo
Ultima, ma non meno importante, la visione individualista e conservatrice, ben visibile sin dalle prime pagine delle Nuove indicazioni. Il documento muove infatti i primi passi da un’interpretazione del concetto di “persona” come quello di «una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire “io”». Valditara passa poi a parlare dell’importanza di valorizzare le relazioni tra bambini in termini estremamente generici, sfruttando il linguaggio intrinsecamente generale del documento per trasformarlo in vaghezza. In molti hanno lamentato come nelle Nuove indicazioni siano assenti riferimenti diretti ai temi dell’inclusività, dell’uguaglianza di genere, dell’educazione sessuo-affettiva, che vengono in ultima istanza risolti con un rimando al concetto di «bona fides»: insomma, per Valditara la soluzione ultima alle discriminazioni razziali e di genere è che ci si comporti bene l’uno con l’altro. L’educazione al rispetto viene piuttosto profilata in maniera definita solo nell’ottica di osservazione delle regole — come nel caso della grammatica, che serve a «introiettare la cultura della regola» — e della gerarchia verticale, come nei confronti dell’insegnante come «magis» e del «principio di autorità», definito «conquista interiore dell’uomo libero».
Secondo specialisti e associazioni sociali, la completa assenza di riferimenti concreti a programmi integrativi che educhino al rispetto, la mancanza strutturale del principio di uguaglianza di fronte a un’esaltazione della «libertà» presentata come trionfo dell’Occidente e l’insistenza con cui si parla delle capacità individuali e dei «talenti» dei singoli senza metterli in relazione al lavoro condiviso promuovono quella classica visione ultra-individualista e competitiva della scuola. Essa si poggia su una contrapposizione tra il sé e l’altro perfettamente delineata dal concetto di persona come quella cosa che può acquisire «consapevolezza di sé» solo attraverso «la differenza con gli altri io e con il mondo».
Alla fine degli anni Settanta, al Liceo Scientifico, con i docenti di Lettere, Storia e Filosofia si discuteva molto ma unicamente di storia occidentale, anche se qualche insegnante ci diceva che la Storia che studiavamo era quella scritta dai ” vincitori”. Poi ho scoperto che le flotte cinesi solcavano il Mar Cinese e l’ Oceano Indiano, tre secoli d C., fino all’ Africa equatoriale; che gli antichi Egizi avevano costruito il tempio di Abu Simbel (prima che lo spostassero per salvarlo dal lago artificiale Nasser) in modo che il raggio solare due volte l’ anno penetrasse al suo interno; che i medici cinesi utilizzavano con successo la loro medicina tradizionale quando gli europei lavoravano con le sanguisughe; che la medicina ayurvedica curava il corpo e l’ anima che erano (sono) un’ entità inseparabile e non due cose distinte come oggi ancora interpreta la nostra medicina accademica. Ora invece arriva un luminare che vuole ripristinare i balilla, i/le giovani italiani/e e gli/le avanguardisti/e. Peccato, però il progresso, come il tempo e l’ aumento di consapevolezza, tra alti e bassi, procedono in un’ unica direzione e non sarà certamente un imbecille di ministro a fermarli. Per aspera ad astra.
concordo.
Ottima analisi, grazie.
Avere radici italiane e olandesi mi ha permesso di rendermi conto di come la democrazia non sia solo un assetto istituzionale ma un qualcosa che permea ogni aspetto della società.
Crescendo nel sistema scolastico italiano non mi sono mai reso conto della severità, gli abusi di potere da parte dei professori e il dibattito visto come mancanza di rispetto nei confronti dell’autorità. L’Olanda mi ha permesso di notare quanti abusi e ingiustizie si subiscono nel sistema Italiano e mi ha insegnato come una scuola può funzionare in modo democratico.
Lo sviluppo e la solidità della democrazia sono direttamente collegati alla capacità dei cittadini di riconoscere abusi di potere, ingiustizie e avere il coraggio di andare contro all’opinione dell’autorità.
Queste cose, purtroppo, nel sistema italiano non ci vengono insegnate e queste scelte da parte del governo sembrano peggiorare la situazione.
Dalla scuola può partire la spinta di progresso democratico, è chiaro che il disegno dell’attuale governo vada nella direzione opposta.
Si deve sparare