BARCELLONA – Ancora una volta la rivoluzione delle chiavi scuote le strade di Barcellona. Ieri, 5 aprile, il Sindicat de Llogateres ha organizzato una manifestazione contro il caro affitti: alle 18, secondo le stime del sindacato più di centomila persone si sono riversate in Plaça Espanya, alle spalle delle Torres Venecianes, per esprimere il proprio dissenso contro l’inefficacia delle politiche adottate in merito alla crisi abitativa, tra le quali la nuova Ley de Vivienda, approvata nel corso di questa legislatura dal governo del Partido Socialista Obrero Español (PSOE) e Sumar. Sul palco collocato alla fine di Avinguda de la Reina Maria Cristina esponenti di collettivi e sindacati hanno espresso il proprio dissenso contro la gestione politica della crisi, incitando alla resistenza della classe lavoratrice.
«Siamo donne migranti e come collettivo siamo profondamente colpite da questa crisi» spiega una manifestante, senza nascondere la frustrazione di una situazione che sembra peggiorare precipitevolmente, «nel nostro caso non parliamo nemmeno di appartamenti, ma addirittura di stanze in case condivise». Nonostante siano passati pochi mesi dalla vittoria agrodolce della Casa Orsola, quando la resistenza popolare sventò lo sgombero di un inquilino da un appartamento destinato ad entrare nel mercato turistico, la «crisi de la vivienda» non accenna a smettere, divenendo, una delle principali preoccupazioni della società spagnola.

La stessa capitale catalana sta mostrando gradualmente l’intenzione di abbandonare quelle misure che per anni l’hanno resa, quantomeno simbolicamente, il faro della resistenza contro la turistificazione. Il sindaco socialista Jaume Collboni, infatti, ha più volte messo in evidenza profonde contraddizioni ideologiche nella gestione della crisi abitativa e dei flussi turistici. La sua costante propaganda elettorale, caratterizzata dalla promessa di applicare politiche particolarmente aggressive verso il turismo, tra le quali si annovera il divieto alle licenze per gli appartamenti turistici dal 2028 (anno in cui il suo mandato sarà già volto al termine), si accosta al desiderio di foraggiare un turismo «di qualità», attirato dall’organizzazione di grandi eventi, come l’edizione della America’s Cup di vela del 2024, che farà largo a progetti incentrati sull’accoglienza del turismo di lusso e rivela di conseguenza il classismo dietro al termine «qualità».
«C’è stato un cambio di politica nel governo comunale, chiaramente in peggio» racconta un altro manifestante. «Costruiranno case che non saranno accessibili alla maggior parte della popolazione». Un altro dei progetti che sta caratterizzando il mandato del sindaco socialista è quello di abrogare la legge approvata dall’ex sindaca Ada Colau nel 2019, che impone alle aziende costruttrici di destinare il 30% degli edifici nuovi o totalmente ristrutturati ad abitazioni a canone protetto. Questa misura, che al momento permette a quasi quattromila appartamenti di essere esclusi dalla speculazione del prezzo di mercato, secondo le entità vicine agli interessi delle imprese di costruzione, di una buona parte della politica conservatrice e al momento anche del Partito Socialista Catalano è la causa principale della crisi abitativa. Di opinione differente sono i sindacati che lottano per la difesa del diritto all’abitare. Tra questi, lo stesso sindacato organizzatore della manifestazione, che ha stilato un programma di soluzioni in dieci punti, tra le quali si osserva la necessità di regolare i canoni d’affitto, riappropriarsi di tutte le case vuote o di quelle destinate al turismo e al mercato stagionale, per poter ampliare il parco di case pubbliche. Inoltre, si difende il diritto allo sciopero e all’organizzazione da parte degli inquilini, che, come nel caso di alcuni edifici protetti di proprietà di ImmoCaixa, ha portato allo sciopero e alla conseguente interruzione del versamento dei canoni d’affitto dei residenti.
«Siamo decine di famiglie a tenere testa al più grande multiproprietario della Catalogna» racconta Águeda Amestoy, militante del collettivo Vaga de Lloguers contra la Caixa, facendo riferimento allo sciopero degli affitti, «non lottiamo solo per le nostre case, ma lottiamo per tutte le case della classe lavoratrice». Simultaneamente, sono state organizzate altre manifestazioni in trentanove città spagnole. Anche nella capitale Madrid, più di centomila persone si sono riversate tra le vie del centro, in un corteo condotto tra la stazione di Atocha fino a Plaza España. Dalle ore 12, i manifestanti che hanno risposto alla convocazione fatta dal Sindicato de Inquilinas hanno protestato contro il caro affitti, chiedendo a gran voce garanzie efficaci in difesa della vivienda digna (abitazione degna), diritto difeso dall’articolo 47 della Costituzione spagnola. Alle migliaia di manifestanti si sono aggiunte varie entità locali e nazionali, come la Plataforma de los Afectados por la Hipoteca (Piattaforma delle persone colpite dal mutuo), il Sindicato de bomberas y bomberos contra los desahucios (sindacato dei vigili e delle vigilesse del fuoco contro gli sgomberi) e l’Unitat contre il feixisme i el racisme (Unità contro il fascismo e il razzismo).
A pochi mesi dalla precedente manifestazione tenutasi nel novembre del 2024, appare evidente come questa crisi stia mettendo in evidenza la totale inefficacia delle politiche varate dal governo spagnolo in merito. La stessa Ley de vivienda, come menzionato pochi giorni prima della manifestazione dalla pagina web della Moncloa (il sito nel quale si riportano le comunicazioni del governo), permettono ai proprietari di ottenere fino al 90% di beneficio fiscale nel caso in cui abbassino di almeno un 5% i canoni d’affitto in quelle zone dove il prezzo di mercato sta crescendo sregolatamente. Il governo PSOE-Sumar dimostra ancora una volta di mettere in pratica una propaganda finalizzata da un lato a catturare il voto di quelle classi sociali dilaniate da questa crisi e dall’altro di continuare a curare gli interessi di fondi privati, speculatori e multiproprietari.
«Abbiamo chiaro che né il Governo, né gli imprenditori troveranno una soluzione per permetterci l’accesso alle case» spiega Marta Espriu, portavoce della Confederació Sindical d’Habitatge de Catalunya. «L’unica maniera che abbiamo per mettere fine a questo business è estromettere le case dal mercato, perché finché le case rimarranno un bene di mercato, non saranno mai un diritto universale».
Mentre l’estrema destra sottolinea la presunta criticità del fenomeno delle occupazioni, appoggiata da un comparto mediatico legato a interessi immobiliari, il governo di Pedro Sánchez prova a risolvere la crisi con decreti che dichiarano apertamente quanto continui ad essere conveniente la speculazione sulle abitazioni. Ancora una volta la politica istituzionale sottovaluta il rumore di una popolazione che si organizza per resistere. Sottovaluta il rumore delle chiavi.
Come si complicano le cose semplici cosi nessuno capisca mai niente, costruire costa almeno mille Euro a MQ più il terreno che dipende dalla località.
Quindi sono semplici i conti, una famiglia ha bisogno di almeno 70 MQ quindi almeno dagli 80.000 ai 160.000 di abitazione, punto.
Basta che i Governi garantiscano a tutte le famiglie non carcerate 80.000 Euro di mutuo con obbligo di lavoro sociale o privato per l’abitazione e non solo si risolve questo problema ma anche quello dello spopolamento di tante località.
Il totale per lo Stato, è molto meno di quanto hanno mandato in Ukraina.