Ieri è stata la giornata dello sciopero generale globale in supporto alla Palestina, lanciato dalle stesse organizzazioni dei lavoratori palestinesi. In tutta la Cisgiordania gli esercizi commerciali e le poche fabbriche attive hanno chiuso i battenti in solidarietà con i connazionali sotto attacco nella Striscia di Gaza. A Gerusaleme Est, Hebron, Ramallah, Tulkarem, Jenin, Selfit, Tubas e molte altre città negozi, scuole, istituzioni pubbliche e aziende hanno chiuso i battenti in protesta contro il genocidio e contro l’avanzata dell’esercito israeliano, che controlla ormai il 50% del territorio della Striscia.
Lo sciopero è stato partecipato in tutto il mondo, specialmente nei Paesi arabi. In Marocco, Algeria, Tunisia fino al Bangladesh e ai Paesi del golfo arabo si sono registrati enormi cortei in solidarietà del popolo palestinese. La giornata mondiale di sciopero è stata proclamata [1] da tutte le organizzazioni politiche palestinesi «per amplificare le voci e mettere in luce gli orribili massacri e crimini dell’occupazione a Gaza e la distruzione sistematica volta a sfollare il nostro popolo».
Una protesta andata in scena nello stesso giorno in cui il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, si trovava in visita negli Stati Uniti, ricevuto con tutti gli onori nonostante il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità emesso [2] nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale.

Le organizzazioni politiche palestinesi hanno anche sollecitato azioni da intraprendere per porre fine alla guerra «nel mezzo dell’incapacità della comunità internazionale di imporre sanzioni all’occupante o di ritenere responsabile il suo governo terrorista». L’accoglienza riservata a Netanyahu dall’Ungheria di Orban [4] è sicuramente esplicativo del clima politico internazionale e della legittimazione che il primo ministro israeliano sta continuando a trovare.
Secondo le ultime stime a Gaza sono state uccise almeno 50.700 persone, e i bombardamenti a tappeto continuano dopo che Israele ha rotto il cessate il fuoco a marzo.
Anche all’interno della Cisgiordania occupata le forze militari di Tel Aviv continuano la loro aggressione contro la città di Jenin per il 77esimo giorno consecutivo, mentre Tulkarem è invasa da 72 giorni. Decine di case dei campi profughi sono state fatte esplodere e almeno 40mila le persone obbligate a lasciare la propria casa. Almeno 918 i palestinesi uccisi in Cisgiordania dal 7 di ottobre 2023 ad oggi.