Dietro la retorica dei “valori europei”, l’Unione Europea ha messo in piedi una vera e propria macchina di propaganda istituzionale. Una strategia capillare, ben mascherata sotto il nobile scudo della “promozione dei valori democratici”, ma che, in realtà, si traduce in una gigantesca operazione di marketing politico. Una macchina attraverso la quale, sotto la generica motivazione degli aiuti alla democrazia e allo sviluppo, milioni di euro fluiscono nelle casse di ONG e centri studi che eseguono progetti con l’obiettivo di orientare le opinioni pubbliche dei Paesi membri e promuovere l’agenda politica di Bruxelles e l’integrazione europea. A dettagliarlo è il rapporto The Eu’s propaganda machine (La macchina della propaganda europea), redatto da Thomas Fazi – giornalista e ricercatore italiano – e pubblicato dal centro studi ungherese MCC Bruxelles. Un rapporto importante, perché per la prima volta svela in modo organico, e basato sullo studio diretto dei bilanci europei, il sistema attraverso il quale l’Unione Europea usa il terzo settore per quella che viene definita un’azione di «propaganda per procura» e «imperialismo culturale».
Le ONG come megafoni della Commissione
Sono diversi gli enti europei attraverso i quali si propagano i progetti di autopromozione di Bruxelles. Tra questi, un ruolo centrale spetta a CERV, un progetto avviato nel 2021 dalla Commissione Europea, che ha tra i propri scopi espliciti quello di «tutelare e promuovere i valori europei». Attraverso questi e altri progetti, l’Unione usa le ONG per promuovere i propri scopi politici tra i cittadini, in una modalità che, specifica il rapporto, appare paragonabile a come gli Stati Uniti usano organizzazioni come USAID, ossia l’ente che storicamente si occupa di promuovere l’ideologia statunitense e orientare le opinioni pubbliche dei Paesi in cui opera. Con una differenza sostanziale però, spiega Thomas Fazi a L’Indipendente: «mentre il compito di USAID è quello di svolgere funzioni di propaganda per gli Stati Uniti all’interno di Paesi stranieri, il CERV e gli altri progetti europei operano al fine di orientare l’opinione pubblica degli stessi Paesi membri dell’Unione Europea».
Secondo il rapporto, attraverso progetti che apparentemente si occupano di promuovere valori universali come la tutela delle minoranze, la riduzione delle discriminazioni e la promozione della democrazia, l’UE agisce al fine di «distorcere i dibattiti pubblici su questioni politiche chiave e per favorire una narrazione unilaterale» e utilizza i propri strumenti di bilancio come «arma per mettere a tacere il dissenso e consolidare la propria autorità, sollevando serie preoccupazioni per il declino democratico che si sta verificando in tutta Europa».
Quanto costa questa macchina della propaganda europea? «Difficile dirlo – spiega Thomas Fazi – perché i fondi utilizzati per manipolare l’opinione pubblica non sono convogliati in progetti specifici, ma diffusi attraverso molteplici progetti diversi». Ci sono ad esempio gli 1,8 miliardi di euro destinati alla promozione di “Diritti e valori”, ma ci sono anche tante altre fonti, come i soldi destinati all’innovazione digitale ma destinati in parte alla lotta alla «disinformazione», termine ombrello attraverso il quale sempre più spesso si identificano tutte le opinioni difformi. «Le autorità europee amano sventolare la minaccia esterna contro la nostra democrazia, ma in realtà il principale agente che minaccia la democrazia in Europa è proprio la Commissione Europea», afferma l’autore. Come? Il rapporto The EU’s Propaganda Machine delinea e dettaglia un sistema complesso, con numerosi esempi e casi di studio.
La prima accusa è chiara: la Commissione Europea finanzia ONG e think tank che agiscono come sue “cheerleaders“, distorcendo l’idea stessa di società civile. È quello che il rapporto definisce «propaganda per procura». Molte organizzazioni sono rese finanziariamente dipendenti da Bruxelles e diventano di fatto veicoli per veicolare l’agenda della Commissione. Non si tratta di sostegno neutro al dibattito pubblico, ma di un’operazione costruita per rafforzare narrazioni pro-UE, screditare l’euroscetticismo e presentare l’integrazione europea come unica via possibile. Sotto la bandiera dell’impegno civico, afferma il rapporto, Bruxelles ha costruito una rete parallela di comunicazione che bypassa i governi nazionali e agisce direttamente sulla popolazione.
Imperialismo culturale e consenso artificiale
Dietro l’apparente neutralità della promozione dei “valori UE”, si cela un’operazione di omologazione culturale. Il rapporto parla esplicitamente di «imperialismo culturale»: la Commissione sostiene norme liberal-progressiste che, in molti Stati membri – in particolare dell’Europa centrale e orientale – entrano in collisione con i contesti storici e culturali locali. Il caso della promozione dell’agenda LGBTQ+ in nazioni come Ungheria o Polonia è emblematico. Si tratta di operazioni che, secondo il rapporto, non si limitano alla lotta alle discriminazioni per genere e identità sessuale, ma mirano all’ «adozione di linguaggi, comportamenti e politiche allineate ai principi progressisti dominanti a Bruxelles», anche a scapito della sensibilità democratica dei singoli Paesi.
Il sistema dei finanziamenti europei contribuisce, secondo il rapporto, a distorcere il dibattito pubblico e a indebolire il pluralismo. Si finanziano solo narrazioni che rafforzano l’integrazione europea, mentre le posizioni critiche restano marginalizzate e prive di mezzi. Così, scrive Fazi, «si crea l’illusione di un consenso diffuso attorno all’agenda dell’UE», mentre in realtà si tratta di un consenso costruito artificialmente, comprato con fondi pubblici. Le ONG finanziate vengono sistematicamente presentate come voci indipendenti della società civile, ma nei fatti sono parte organica dell’apparato europeo. «Questo – si legge nel rapporto – è un gigantesco conflitto di interessi mascherato da partecipazione democratica». E intanto i cittadini che non condividono l’agenda pro-UE vedono le loro opinioni espulse dal dibattito legittimo.
La lotta alle “fake news” come strumento di censura
Un altro capitolo del rapporto dettaglia la «promozione della censura». Il pretesto è quello – nobile, almeno in apparenza – di combattere la disinformazione. Ma in realtà, denunciano gli autori, si tratta spesso di screditare ogni voce critica. Alcuni progetti finanziati dal CERV in questo senso sono assolutamente espliciti. Come il progetto RevivEU, che ha ricevuto 645.000 euro nel biennio 2023/24 per «combattere le narrazioni euroscettiche emergenti già promulgate dalle élite autocratiche», nonché per «ravvivare l’attrattiva dell’UE nelle menti dei cittadini». O come il progetto Chi e come: contrastare la disinformazione che allontana i cittadini dal progetto europeo: 270.000 euro distribuiti a ONG e centri studi in vari Paesi (tra i quali anche l’Italia) per «identificare, mappare ed esporre temi, discorsi, attori e vettori che promuovono e trasmettono messaggi volti a minare la fiducia dei cittadini nelle politiche dell’UE». Bruxelles, continua il rapporto, finanzia anche la creazione di portali informativi “approvati”, algoritmi per indirizzare i contenuti considerati “affidabili” e piattaforme social modellate su narrazioni pro-UE. L’implicazione di questi progetti, afferma Thomas Fazi, è inequivocabile: «L’informazione deve tramutarsi in uno strumento di disciplinamento, e qualsiasi messaggio che diminuisca la fiducia nell’UE deve essere automaticamente etichettato come disinformazione».
Ingerenze politiche: l’UE entra a gamba tesa

Il rapporto accusa apertamente la Commissione anche di operare «interferenze straniere» negli affari interni di Stati membri governati da forze euroscettiche. Succede in Ungheria, dove le ONG finanziate da Bruxelles hanno apertamente attaccato il governo Orbán. Succede in Polonia, dove si è creato un vero e proprio asse tra società civile “europeista” e Commissione per indebolire i conservatori del PiS. A volte l’ingerenza è diretta: con il congelamento di fondi strutturali e recovery fund per motivi politici. Altre volte è indiretta, ma forse ancor più insidiosa: usando alcune ONG locali per delegittimare governi eletti. «La Commissione – si legge – non si limita a promuovere valori: cerca attivamente di influenzare gli equilibri politici interni dei Paesi membri». Una strategia che mette in discussione la stessa sovranità popolare e democratica all’interno degli Stati membri.

Un esempio particolarmente interessante è quello della Romania, uno dei Paesi dove la Commissione ha investito di più nel finanziamento di progetti proUE tramite il programma CERV. Organizzazioni non governative e centri studi romeni sono stati destinatari di fondi con evidenti finalità dichiaratamente politiche: «contrastare la disinformazione che mina la fiducia nell’UE», «monitorare il linguaggio usato dai rappresentanti politici», «rafforzare la narrativa europea nei media locali». In alcuni casi, si sono finanziate attività che sfiorano la sorveglianza politica. Un progetto finanziato nel 2025 prevede di «controllare il linguaggio usato dai rappresentanti eletti sui social media e nei media tradizionali». In pratica, un sistema per mappare il dissenso e disinnescarlo. Tra questi il Blue4EU: oltre 375 mila euro donati da Bruxelles nel triennio 2024/26, in un progetto coordinato dall’Università Babeș-Bolyai, al fine di «migliorare il pensiero critico e la resilienza dei giovani nei confronti degli attuali movimenti estremisti e anti-UE» e la “Piattaforma per sfidare l’euroscetticismo”.
Proprio la Romania ha dimostrato tuttavia che, quando la propaganda non riesce ad arginare la crescita di partiti e personaggi politici invisi all’attuale leadership, ogni mezzo può diventare lecito. Dopo che il 24 novembre scorso il primo turno delle elezioni presidenziali era stato vinto a sorpresa dal candidato Calin Georgescu, definito di “estrema destra” e “filo-russo”, la Corte Costituzionale rumena ha prima deciso di annullare la consultazione perché il voto avrebbe subìto interferenze da parte della “propaganda russa” e poi ha escluso Georgescu dalla sua ripetizione con l’accusa di aver «minato l’ordine costituzionale e promosso un’organizzazione di stampo fascista». Decisioni che hanno spinto il celebre quotidiano liberale Financial Times a inserire il Paese tra i regimi ibridi e non pienamente democratici all’interno dell’annuale rapporto Global Democracy Index. In questo modo la Romania è diventata il primo Paese parte della UE a essere classificato non democratico. Tuttavia, dalla Commissione Europea, sempre pronta a intervenire a favore della democrazia in ogni contesto, questa volta non è arrivata nessuna condanna verso l’esclusione di Georgescu, e anzi l’azione della Corte Costituzionale è stata sostanzialmente appoggiata.
Il rapporto si conclude mettendo in luce un paradosso: tra i danni collaterali della macchina propagandistica europea non ci sono solo la democrazia e la sovranità popolare degli stessi cittadini europei, ma anche le stesse ONG. Usare la “società civile” come strumento politico genera sfiducia generale verso tutto il settore. «Le ONG autentiche rischiano di essere travolte dalla reazione contro il complesso UE-ONG», si legge. Si crea una confusione tra attivismo sincero e propaganda mascherata. E il rischio è che a pagarne il prezzo siano proprio le organizzazioni che lottano per i diritti, l’ambiente, l’inclusione sociale – non per compiacere Bruxelles, ma per rispondere a bisogni reali.
Niente di nuovo. sono decenni che si fa
Thomas Fazi e’ unico , come uniche sono le sue approfondite analisi !
Grazie.
Complimenti per l’articolo. Era ora che l’evidenza, osservabile da un qualunque spettatore mediamente sensibile in prima serata ogni giorno nelle TV, fosse scritta chiaramente da qualche giornalista indipendente.
Oh che bello! Mi unisco nel dire: “Finalmente!”. Ottimo articolo. Cose abbastanza palesi per chi non abbia cosciotti di prosciutto sugli occhi ma fa sempre piacere leggere un articolo coraggioso che ben sottolinea gli obiettivi culturali e sociali di questa propaganda, volta a screditare i valori cristiani promuovendo promiscuità e plagio delle menti (soprattutto quelle più giovani).
Finalmente! Ci vuole coraggio a scrivere un rapporto del genere di questi tempi. Applausi a scena aperta a Fazi, e un grazie all’Indipendente e all’anonimo autore dell’articolo.
W la Brexit, W la Itaexit.