Il numero di esecuzioni capitali, a livello globale, ha raggiunto nel 2024 il livello più alto dal 2015. Sono infatti 1.518 le persone messe a morte in 15 diversi Stati del mondo. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di Amnesty International sull’uso della pena di morte nel mondo, pubblicato sul portale dell’organizzazione. La stragrande maggioranza delle esecuzioni note si è verificata in Iran, Iraq e Arabia Saudita, Paesi responsabili dell’aumento complessivo delle pene capitali. I dati diramati nel report non includono le migliaia di persone che si crede siano state giustiziate in Cina, che continua a rappresentare il Paese con il più alto numero numero di esecuzioni al mondo, così come in Corea del Nord e in Vietnam, dove si ritiene che la pena capitale venga ancora largamente applicata.
Nel complesso, Iran, Iraq e Arabia Saudita hanno fatto registrare il totale di 1380 esecuzioni. Rispetto al 2023, l’Iraq è passato da almeno 16 ad almeno 63 esecuzioni (quasi il quadruplo), l’Arabia Saudita da 172 ad almeno 345 e l’Iran da almeno 853 ad almeno 972. In questi tre Paesi è avvenuto circa il 91% delle esecuzioni documentabili. In alcuni stati del Medio Oriente, spiega Amnesty, la pena di morte «è stata usata per mettere a tacere difensori dei diritti umani, dissidenti, manifestanti, oppositori politici e minoranze etniche». Nella regione sono 8 i Paesi che hanno applicato la pena di morte, ovvero Egitto, Iran, Iraq, Kuwait, Oman, Arabia Saudita, Siria e Yemen. Più del 40 per cento delle esecuzioni avvenute nel 2024 ha riguardato «illegalmente» reati legati alla droga. Secondo il diritto internazionale dei diritti umani e gli standard internazionali, infatti, la pena capitale deve essere limitata ai «reati più gravi», nel cui novero non rientra questa tipologia di reato. Le esecuzioni per reati collegati agli stupefacenti sono fioccate in Cina, Iran, Arabia Saudita, Singapore e, presumibilmente, Vietnam. L’organizzazione lancia l’allarme su quegli Stati che hanno manifestato l’intenzione di introdurre la pena capitale per questi reati, come Maldive, Nigeria e Tonga, i quali «devono essere denunciati e incoraggiati a mettere i diritti umani al centro delle loro politiche sulle droghe».
Per quanto concerne la Cina, non si conoscono le statistiche legate alle esecuzioni, poiché le informazioni sulla pena capitale sono classificate come segreti di Stato, ma Amnesty classifica il Paese al primo posto per numero di persone giustiziate. Altro capitolo riguarda gli Stati Uniti, dove le esecuzioni sono in costante aumento dalla fine della pandemia. Nel 2024 sono state messe a morte 25 persone, una in più del 2023. In Texas è raddoppiato il numero di condannati alla pena capitale (da 3 a 6) e quattro Stati – Georgia, Indiana, Carolina del Sud e Utah – hanno ripreso a giustiziare condannati. Amnesty evidenzia come il nuovo presidente Donald Trump abbia più volte invocato la pena di morte nei confronti di «stupratori violenti, assassini e mostri», alimentando «la falsa convinzione che la pena capitale abbia un effetto deterrente unico contro la criminalità».
Amnesty dà anche atto di novità positive. Infatti, sebbene la quantità di esecuzioni siano aumentate, il 2024 ha registrato il numero più bassi di Stati (15) che le hanno portate a termine. Ad oggi, 113 Stati hanno totalmente abolito la pena di morte e 145 l’hanno eliminata dalle leggi o dalla prassi. Sono invece 54 gli Stati che mantengono in vigore la pena capitale, ma quelli che eseguono condanne a morte sono solo un terzo di essi. Per la prima volta, inoltre, più di due terzi di tutti i Paesi membri delle Nazioni Unite si sono espressi a favore della decima risoluzione dell’Assemblea generale per una moratoria sull’uso della pena di morte.