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Trump apre al disboscamento di 455 mila km² di foreste: nessuno potrà fare ricorso

Negli Stati Uniti, l’amministrazione Trump ha approvato un decreto d’urgenza che elimina una serie di protezioni ambientali per oltre la metà delle foreste gestite dal Servizio forestale americano. Il motivo, si legge in un memorandum [1] rilasciato dal Dipartimento dell’Agricoltura, sarebbe triplice: ridurre il rischio di incendi, contenere la diffusione di infestazioni e, soprattutto, aumentare la produzione di legname. Viene così dichiarato lo stato d’emergenza su una superficie pari a 455.000 chilometri quadrati che, con la rimozione dei vincoli ambientali, viene aperta al disboscamento. Il decreto impedisce inoltre che sulle foreste in questione possano essere avanzati ricorsi da parte di organizzazioni della società civile e limita anche la lista di alternative presentabili in fase di valutazione dei progetti di disboscamento.

Il memorandum del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense è stato pubblicato giovedì 3 aprile. Esso parte dalla considerazione che circa «66.940.000 [circa 271mila chilometri quadrati] acri di terreni del Servizio Forestale Nazionale (NFS) sono a rischio di incendi molto elevato o elevato». A questi si aggiungono «circa 78.800.000 [circa 319mila chilometri quadrati] acri di terreni NFS già soggetti a, o a rischio di, infestazioni di insetti e malattie». L’amministrazione statunitense pone queste aree a rischio sotto stato di emergenza. Considerata la superficie soggetta sia a rischio incendi che a rischi sanitari, gli USA mettono sotto stato di emergenza 112.646.000 acri di terreno (circa 455 chilometri quadrati), poco meno del 60% dell’intero patrimonio forestale gestito dall’NFS.

Per ridurre i rischi a cui sono soggette le foreste statunitensi, il Dipartimento dell’Agricoltura chiede che vengano presi provvedimenti mirati, quali interventi di risanamento degli alberi o delle aree circostanti, o, appunto, l’abbattimento. L’intera superficie di 455 chilometri quadrati viene così spogliata dalle tutele di cui godeva, e aperta al disboscamento. Sebbene risulta difficile che essa venga abbattuta completamente, è certo che lo sarà almeno in parte. Il memorandum del 3 aprile, infatti, segue un decreto [2] presidenziale del 1° marzo con cui il presidente Trump intensificava lo sfruttamento delle aree boschive, con l’obiettivo di produrre più legname e ridurre la dipendenza dal Canada. Lo stesso memorandum arriva in risposta all’attuazione del decreto del 1° marzo, e specifica che il Dipartimento ha individuato «43 milioni di acri [circa 174mila chilometri quadrati] adatti alla produzione di legname». In aggiunta, il memorandum stabilisce che «qualsiasi valutazione ambientale o dichiarazione di impatto ambientale richiesta per un’azione di emergenza autorizzata richiede l’analisi solo dell’azione proposta e dell’alternativa di non intervento e non è soggetta alla revisione amministrativa pre-decisionale a livello progettuale». In sintesi, esso impedisce che vengano presentati reclami amministrativi per le procedure di disboscamento.

Il disboscamento massiccio di una tale area, grande più dell’intero Stato della California, potrebbe comportare gravi rischi per l’ecosistema statunitense, compromettendo la tutela della biodiversità e riducendo la capacità di assorbimento delle emissioni di CO2 del Paese. Secondo alcuni studiosi, inoltre, potrebbe avere un effetto contrario a quello sperato e aumentare il rischio di incendi. Meno alberi, infatti, spiega lo scienziato Chad Hanson al Guardian [3], significa temperature più elevate, clima più arido e, dunque, vegetazione più propensa a fungere da “combustibile” per il propagarsi di un incendio.

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.