sabato 12 Aprile 2025

Hanno la guerra nel cervello

Ventitré pagine per delineare un futuro di pallottole e fango, di centinaia di miliardi da destinare al settore militare, di profitti da capogiro per la lobby delle armi e di un immaginario collettivo da riempire con il terrore che le libertà democratiche siano minacciate da nemici esterni fortissimi e con un unico chiodo fisso: distruggere l’Europa. È il delirio messo nero su bianco nel Libro bianco congiunto per la preparazione della Difesa europea al 2030, il manifesto militarista pubblicato dalla Commissione Europea per giustificare ideologicamente il piano di riarmo dell’Europa con il quale si punta a spendere 800 miliardi di euro in munizioni, artiglieria, missili, droni, infrastrutture e tecnologia militare.

A leggerlo si ha l’impressione di vivere sull’orlo della catastrofe, cittadini di un continente assediato: «Le minacce alla sicurezza europea si stanno moltiplicando in un modo che rappresenta una grave minaccia per il nostro modo di vivere», la Russia è una «grave minaccia strategica», mentre «Stati autoritari come la Cina cercano sempre più di affermare la propria autorità e controllo sulla nostra economia e società». Ampio è anche il ricorso alla fomentazione di paure e a vere e proprie fake news per giustificare la corsa alle armi. Si ribadisce il concetto secondo cui la Russia sarebbe pronta a invadere militarmente i Paesi europei, perché «se le sarà consentito di raggiungere i suoi obiettivi in Ucraina, la sua ambizione territoriale si estenderà oltre» e si rilancia la bufala secondo cui i Paesi europei spendano troppo poco nella difesa, al punto che — secondo i cervelli che hanno redatto il documento per conto della Commissione UE — la spesa per la difesa europea rimane «molto inferiore a quella della Russia o della Cina». Un punto su cui l’UE dovrebbe mobilitare una delle divisioni contro la disinformazione inventate a Bruxelles negli ultimi anni per auto flagellarsi, visto che la spesa dei Paesi dell’UE nella difesa nel 2024 è stata di 326 miliardi di euro contro i 235 miliardi della Cina e i 146 della Russia.

La furia militarista europea non è rinchiusa nelle stanze di Bruxelles. La corsa alla guerra è viva in quasi tutti i Paesi europei che sembrano correre alle armi come se si fossero svegliati di colpo all’alba di una nuova guerra mondiale. La Francia ha rilanciato la produzione nazionale di polvere da sparo e annunciato un esercito di riservisti da centomila uomini; la Germania ha modificato la propria Costituzione per permettere di rendere l’esercito «pronto per la guerra»; la Polonia ha lanciato un piano per l’addestramento militare rivolto a tutti gli uomini adulti; in Svezia sono passati direttamente a distribuire tra la popolazione un kit di sopravvivenza in caso di conflitto nucleare. In Italia, il ministro Urso, ha annunciato un piano per collegare l’industria automobilistica a quella militare: nessuno ha capito bene cosa voglia dire ma, visto il clima generale, il bisogno di fare qualcosa era evidentemente insopprimibile, anche se agendo a caso come da tradizione politica italiana.

La guerra si insinua anche nei cervelli più insospettabili, come quelli di molti presidi delle scuole italiane, dove negli ultimi mesi si sono moltiplicati corsi tenuti dai soldati, gite d’istruzione nelle basi militari, addirittura messinscene come i bambini di una scuola elementare messi a fare il passo dell’oca in cortile sulle note dell’inno di Mameli. Un clima talmente assurdo che un gruppo di maestri, professori e operatori scolastici ha sentito il bisogno di riunirsi nell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole per cercare di contrastare il clima guerrafondaio che le istituzioni scolastiche stanno fomentando nelle nuove generazioni.

«Nessuno ha dichiarato guerra all’Europa, Russia e USA stanno trattando la pace in Ucraina, non abbiamo neanche nessuna notizia di una possibile invasione aliena»: è dimostrato che faccia bene chiudere gli occhi e ripetere lentamente queste tre frasi, specie dopo aver visto un telegiornale o essere caduti ancora una volta nella tentazione di aprire il sito della Repubblica o del Corriere. Facciamo in modo che il clima di guerra non si impossessi anche della nostra mente.

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Andrea Legni

Giornalista professionista dal 2013, antropologo culturale di formazione. È stato autore documentari, reportage e inchieste pubblicate sui principali quotidiani italiani, concentrandosi sull'analisi delle conseguenze sociali dei conflitti. È direttore de L’Indipendente dalla fondazione.

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2 Commenti

  1. Sarebbe interessante conoscere in quale città si è vista questa marcetta al passo dell’oca, che tipo di scuola, pubblica? o privata? Portatrice di quali esperienze? Come collegata al territorio? Ci sono state reazioni da parte di docenti? Genitori? Istituzioni culturali nella città?
    Lasciare passare queste cose senza la minima contestazione o discussione è pericolosissimo. Se l’Indipendente tornasse nuovamente sulla cosa affondando la sua metodica analisi in questo faccenda sarebbe parecchio utile.

  2. Meravigliose sintesi queste sotto. Grazie Andrea.

    In Italia, il ministro Urso, ha annunciato un piano per collegare l’industria automobilistica a quella militare: nessuno ha capito bene cosa voglia dire ma, visto il clima generale, il bisogno di fare qualcosa era evidentemente insopprimibile, anche se agendo a caso come da tradizione politica italiana.

    Nessuno ha dichiarato guerra all’Europa, Russia e USA stanno trattando la pace in Ucraina, non abbiamo neanche nessuna notizia di una possibile invasione aliena»: è dimostrato che faccia bene chiudere gli occhi e ripetere lentamente queste tre frasi, specie dopo aver visto un telegiornale o essere caduti ancora una volta nella tentazione di aprire il sito della Repubblica o del Corriere

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