Una giuria statunitense ha condannato la multinazionale petrolifera Chevron a pagare oltre 744 milioni di dollari per gravi danni ambientali causati dalla controllata Texaco in una zona paludosa della Louisiana. La somma comprende risarcimenti per degrado generalizzato, inquinamento e infrastrutture abbandonate. Le accuse erano sono state mosse dalla contea di Plaquemines, secondo cui le aree paludose danneggiate nella zona di Pointe à la Hache giocavano un ruolo determinante per la protezione del litorale e la mitigazione degli effetti dei cambiamenti climatici. Il colosso fossile ha contestato la decisione e annunciato ricorso, sostenendo la sussistenza di «numerosi errori giudiziari che hanno portato alla sentenza». Questo procedimento è solo il primo di ben 42 azioni legali simili che potrebbero costare alla compagnia miliardi di dollari.
Secondo l’accusa, i progetti di estrazione di petrolio e gas condotti dal marchio Texaco, di proprietà di Chevron, hanno violato le normative statali sulle risorse costiere. Tra le attività contestate figurano lo scavo di canali, la perforazione di pozzi e lo scarico di enormi quantità di acque reflue nelle paludi. Queste pratiche avrebbero accelerato l’erosione delle coste e compromesso la capacità naturale delle zone umide di proteggere il territorio dagli uragani. La giuria ha riconosciuto alla contea di Plaquemines, che aveva avviato la causa nel 2013 chiedendo inizialmente 2,6 miliardi di dollari, vari indennizzi: 575 milioni per la perdita di territorio, 161 milioni per la contaminazione e 8,6 milioni per l’abbandono di attrezzature industriali. La contea si è in particolare appellata ad una una legge statale del 1978 che impone alle aziende petrolifere, al termine delle loro operazioni, di ripristinare le aree utilizzate verso una condizione «il più possibile simile a quella originaria». Ma Chevron, che non hai mai mosso un dito in fatto di ripristino ecologico e bonifica, ha contestato la legittimità della sentenza dato che le attività contestate risalirebbero a un’epoca anteriore all’introduzione della legge.
Le attività che hanno colpito gli ecosistemi in questione erano state avviate dall’azienda Texaco, acquistata nel 2001 da Chevron per la cifra record di oltre 38 miliardi di dollari. La procedura legale fu però avviata 12 anni dopo, motivo per cui a risponderne oggi è la multinazionale con sede in California. Ad ogni modo, la vicenda sottolinea ancora una volta la noncuranza e la negligenza tipiche dell’operato dell’industria fossile a spese dell’ambiente naturale e della salute pubblica. Secondo i dati del US Geological Survey, dal 1932 al 2016 la Louisiana ha perso circa 4.833 chilometri quadrati di territorio costiero, il che equivale ad una riduzione del 25%. Le cause principali sarebbero da ricondurre anche alla costruzione di canali per facilitare il trasporto da e verso le piattaforme petrolifere, che nel tempo ha alterato i flussi naturali d’acqua e favorito l’intrusione dell’acqua salata durante le tempeste. Nel frattempo, la Louisiana Coastal Protection and Restoration Authority avverte: nei prossimi 50 anni, lo stato rischia di perdere altri 7.700 chilometri quadrati di territorio costiero. Il caso di Chevron potrebbe ora aprire la strada a nuove sentenze e accordi extragiudiziali con le altre compagnie coinvolte nelle cause ancora in sospeso.