sabato 12 Aprile 2025

Il Corriere della Sera a processo: manipolò un’intervista per definire un politico “putiniano”

Il giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Roncone e il direttore della medesima testata, Luciano Fontana, sono stati rinviati a giudizio dalla Procura di Cagliari per diffamazione ai danni dell’ex deputato del Movimento 5 Stelle Gabriele Lorenzoni. I fatti ruotano attorno a un articolo, pubblicato dal Corriere nel marzo del 2022, in cui Lorenzoni veniva indicato come «putiniano». Nello stesso pezzo, il politico veniva schernito per le sue posizioni in merito alla guerra russo-ucraina e per aver creduto a presunte notizie false su tale conflitto. Nello specifico, i pm affermano che all’ex deputato sono state attribuite affermazioni mai pronunciate, con una vera e propria manipolazione delle sue dichiarazioni tesa a dipingerlo come un «soggetto estremista che appoggerebbe le posizioni politiche e militari della Russia di Putin».

Nel titolo dell’articolo da cui trae origine il procedimento, Lorenzoni veniva etichettato come «putiniano», espressione che, nonostante la successiva modifica in «Filo-Putin», resta visibile all’interno del link e rappresenta il simbolo della controversia. Il decreto di citazione diretta a giudizio di Fabrizio Roncone e Luciano Fontana, emesso dalla Procura presso il Tribunale di Cagliari, evidenzia come i due imputati siano chiamati a rispondere del reato di diffamazione: nel dettaglio, Roncone risulta imputato ai sensi dell’art. 595, co. 2 e 3 del Codice Penale, mentre Fontana, nella sua veste di direttore, è accusato per aver omesso il controllo editoriale sul contenuto dell’articolo incriminato. Secondo l’atto d’accusa, il giornalista autore dell’articolo avrebbe deliberatamente alterato il senso dell’intervista, attribuendo al deputato Lorenzoni parole inesistenti e dunque «ledendo gravemente la sua reputazione personale e professionale». I documenti processuali, che fissano l’udienza al 24 giugno 2025, rappresentano non solo una formale azione penale ma anche un banco di prova per stabilire i limiti tra il diritto alla libertà di espressione e quello al rispetto dell’onorabilità personale. Insomma, l’evoluzione di questo processo potrà richiamare i riflettori su una questione ormai centrale: dove finisce l’analisi critica e dove inizia la propaganda mascherata da giornalismo.

«Questo è stato un classico caso di character assassination, un’intervista appositamente costruita per denigrare non solo una persona, ma una posizione politica – dichiara a L’Indipendente Gabriele Lorenzoni, che ora non ha più ruoli politici –. Avvenne nel momento in cui io e altri colleghi avevamo manifestato contrarietà all’annunciato intervento di Zelensky alla Camera dei Deputati. All’epoca feci un post in cui avevo riportato sia la versione ucraina che quella russa sui fatti collegati al bombardamento russo a Mariupol, mostrando un approccio moderato ed equilibrato rispetto a una questione assai articolata». Eppure, l’intervista mostra tutt’altro. «La loro finalità era ovviamente quella di farmi passare per lo “scemo del villaggio”, così hanno deciso di mettermi in bocca parole non mie – spiega ancora Lorenzoni –. La narrazione mainstream iper-bellicista non poteva tollerare posizioni di buon senso. Non poteva tollerare che io e altri invitassimo l’opinione pubblica a studiare a fondo il contesto del conflitto, non dimenticando gli otto anni precedenti di guerra civile, e che avvertissimo che contribuire al suo prosieguo senza puntare su un negoziato avrebbe prodotto un disastro».

Il caso Lorenzoni è comunque solo un piccolo tassello di una più ampia campagna mediatica, lanciata da alcuni grandi quotidiani, volta a stigmatizzare come «filorussi» o «putiniani» politici, intellettuali e personaggi pubblici critici verso la linea atlantista sul conflitto russo-ucraino. Un clima che, soprattutto nei primi mesi dell’invasione, aveva portato a un acceso dibattito pubblico e a un forte rischio di semplificazioni e delegittimazioni. Nello specifico, attraverso articoli, editoriali e inchieste, il Corriere della Sera ha contribuito a costruire la narrazione dei cosiddetti «putiniani d’Italia»: una categoria molto eterogenea che includeva parlamentari del Movimento 5 Stelle, esponenti della Lega, giornalisti, professori universitari, opinionisti televisivi e, più in generale, chiunque sollevasse dubbi sul supporto militare all’Ucraina o mettesse in discussione l’efficacia delle sanzioni contro Mosca. Il Corriere dipinse infatti l’esistenza di una «rete della propaganda di Putin» in Italia come una minaccia per la sicurezza nazionale, citando addirittura «materiali raccolti dall’intelligence» e indicando come bersagli principali vari nomi ed entità, tra cui quelli di Giorgio Bianchi, Alberto Fazolo, Manlio Dinucci, Alessandro Orsini, Maurizio Vezzosi e il canale L’Antidiplomatico. Un’operazione da molti considerata come un vivido manifesto della delegittimazione del dissenso.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.

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