martedì 15 Aprile 2025

È stato pubblicato il primo elenco ufficiale delle strutture abortive in Italia

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato l’elenco ufficiale delle strutture pubbliche o convenzionate dove è possibile praticare l’aborto (IVG, interruzione volontaria di gravidanza), anche in forma farmacologica, in Italia. Fino ad ora gli elenchi esistenti erano resi disponibili solamente dalle organizzazioni e associazioni che si occupano di tutela del diritto all’aborto: è la prima volta in cui una lista ufficiale viene resa pubblica da quando l’accesso all’aborto ha iniziato a tutti gli effetti ad essere un diritto tutelato dalla legge, nel 1978. L’elenco manca tuttavia di un dato fondamentale per comprendere su che scala il diritto all’aborto sia effettivamente tutelato: quello sul totale dei medici obiettori di coscienza presenti in ciascuna struttura. Serena Donati, responsabile scientifica del Sistema di Sorveglianza Epidemiologica dell’IVG presso l’Istituto Superiore di Sanità, ha dichiarato in un’intervista che questi verranno aggiunti successivamente, senza tuttavia specificare quando.

«L’ISS ha già trasmesso al ministero la sua parte della relazione 2023, per cui dovrebbero essere prossimi» ha spiegato Donati, intervistata dal quotidiano Domani. Fino a che questo dato non sarà disponibile, resterà difficile capire in quante delle strutture indicate è effettivamente possibile accedere alla IVG. L’obiezione di coscienza rimane infatti il motivo principale per il quale le donne spesso hanno difficoltà ad accedere alla procedura, teoricamente garantita dalla legge. Secondo l’ultima Relazione del governo sullo stato di applicazione della legge 194 in Italia (i cui dati, tutt’altro che attuali, risalgono al 2022), vi sono Regioni quali il Molise e la Sicilia dove il tasso di personale obiettore di coscienza raggiunge rispettivamente il 90,9% e l’81,5%. In Valle d’Aosta e nella P.A. di Trento, dove si registrano le percentuali più basse in tal senso, il dato riguarda in ogni caso rispettivamente un quarto e quasi un terzo del personale sanitario (il 25% e il 31,8%).

Sul fronte politico, tuttavia, non sono mancate da quando è in carica il governo Meloni misure che più che a garantire l’accesso all’aborto legale come previsto dalla legge paiono orientate a facilitare l’attività dei gruppi politici e religiosi che vi si oppongono. Grazie, ad esempio, ai soldi prelevati dai fondi del PNRR destinati alla sanità, è ora permesso ai gruppi antiabortisti di organizzare interventi all’interno dei consultori, al fine di dissuadere le donne dall’accedere all’IVG. Iniziative in questo senso si sono registrate anche in alcune regione, come in Piemonte, dove la giunta ha messo a disposizione dei gruppi anti-abortisti un ingente quantitativo di fondi (un milione di euro) per la realizzazione del cosiddetto progetto Vita Nascente, volto alla “promozione del valore sociale della maternità”, al “sostegno delle gestanti e/o neomamme” e alla “tutela della vita nascente”. Fondi pubblici messi nelle mani di gruppi privati, insomma, che chiedono la revisione, se non la completa abolizione, della legge 194.

A fronte di ciò, va sottolineato come criminalizzare o rendere impossibile l’accesso alla pratica dell’aborto non comporti il fatto che le donne vi rinuncino. Secondo gli ultimi dati disponibili del ministero della Salute, nel periodo tra il 2014 e il 2016 il numero stimato di aborti clandestini si aggirava tra i 10 mila e i 13 mila casi. Secondo lo stesso Osservatorio Permanente sull’Aborto, composto anche da organizzazioni anti-abortiste e cattoliche, la pratica degli aborti clandestini è in crescita negli ultimi anni. Con tutti i rischi, anche gravi, che questo comporta per la salute delle donne.

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Valeria Casolaro

Ha studiato giornalismo a Torino e Madrid. Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, frequenta la magistrale in Antropologia. Prima di iniziare l’attività di giornalista ha lavorato nel campo delle migrazioni e della violenza di genere. Si occupa di diritti, migrazioni e movimenti sociali.

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