Per la prima volta nella storia, i genomi completi delle grandi scimmie sono stati letti da un’estremità all’altra senza errori né interruzioni significative. A rivelarlo è un nuovo studio condotto da un consorzio internazionale di ben 160 ricercatori – tra cui italiani dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro – sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. Utilizzando tecnologie di sequenziamento a lettura lunga e nuovi algoritmi, gli scienziati sono riusciti a mappare integralmente il DNA di scimpanzé, bonobo, gorilla, oranghi e siamango, raggiungendo un’accuratezza mai vista prima: meno di un errore ogni milione di basi. Si tratta di una precisione che ha permesso di rivelare migliaia di geni e regioni del DNA mai annotate, spiegano i ricercatori, i quali aggiungono che i nuovi dati offrono uno sguardo inedito sull’evoluzione umana e sulle differenze genetiche tra le specie e forniscono le basi scientifiche per la salvaguardia di quelle a rischio.
Fino a oggi, le mappe genetiche delle grandi scimmie erano incomplete e frammentate, soprattutto nelle regioni più complesse del DNA come i centromeri – le zone che mantengono unite le due metà di un cromosoma – e le aree acrocentriche, ovvero le porzioni terminali di alcuni cromosomi, spesso ricche di ripetizioni, difficili da analizzare e rimaste a lungo inaccessibili a causa di limiti tecnologici e algoritmici. Il primo sequenziamento completo del genoma umano avvenuto nel 2001, spiegano gli autori, aveva mostrato l’enorme potenziale di queste analisi, ma decodificare interamente i genomi delle altre scimmie antropomorfe è rimasto un obiettivo irraggiungibile fino all’avvento delle tecnologie di nuova generazione, sfruttate appunto nel recente studio [1]: i ricercatori hanno utilizzato sequenze a lettura lunga per assemblare i genomi da un’estremità all’altra dei cromosomi, senza lacune. Le sequenze così ottenute sono state confrontate tra sette specie – tra cui l’uomo – portando alla scoperta di nuove famiglie di geni, molte delle quali specifiche di una sola specie. Inoltre, gli scienziati hanno identificato regioni del DNA non canonico, strutture insolite diverse dalla classica doppia elica, potenzialmente implicate in malattie come il cancro.
In particolare, sono state identificate oltre 3.000 nuove regioni del DNA che si sono evolute rapidamente lungo la linea umana contenenti molti geni importanti per lo sviluppo cerebrale e la vocalizzazione, migliaia di geni e varianti di splicing mai annotati prima, tra cui alcuni implicati nell’evoluzione del cervello umano, la mappatura completa di regioni cruciali come i centromeri e le regioni acrocentriche, per la prima volta accessibili senza errori, l’identificazione di 143 porzioni dei genomi e la precisa datazione delle divergenze evolutive: «umano e scimpanzé si sono separati tra 5,5 e 6,3 milioni di anni fa. Per la prima volta, il sequenziamento completo dei genomi delle grandi scimmie ha permesso di esplorare le regioni più misteriose e dinamiche del nostro DNA, rivelando geni fondamentali per l’evoluzione umana», spiegano gli autori. Per quanto riguarda il gruppo italiano, i ricercatori hanno giocato un ruolo centrale nello studio delle duplicazioni segmentali – tratti di DNA copiati più volte all’interno del genoma, che possono generare innovazioni genetiche ma anche aumentare il rischio di malattie – e delle variazioni strutturali tra le specie, aree chiave per comprendere l’albero evolutivo dei primati. «Disporre di genomi completi ci consente di esplorare regioni del DNA finora inaccessibili, quelle più complesse, ripetitive, e quelle coinvolte nei processi regolatori, nello sviluppo del cervello o nelle risposte immunitarie. Questo studio pone le basi per una nuova era nella genomica comparativa e nella medicina evolutiva. I dati che abbiamo generato serviranno per decenni, aprendo strade promettenti nello studio delle malattie genetiche, del funzionamento del sistema immunitario e dei meccanismi cerebrali più profondi», ha concluso [2] il professor Mario Ventura, ricercatore dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.