L’Unione Europea ha proposto un pacchetto da 1,6 miliardi per la Palestina da erogare tra il 2025 e il 2027. La misura è stata annunciata con un comunicato stampa [1] denso di parole di supporto alla causa palestinese, ma privo di concretezza: la maggior parte dei fondi andrebbe all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) per favorire un processo di riforma interna e «per aiutarla a rispondere alle esigenze più urgenti della pubblica amministrazione», in questo momento impegnata a soddisfare le richieste di Israele; un quarto del denaro sarebbe destinato agli investimenti privati, mentre un terzo – che gestirebbe sempre l’ANP – agli aiuti effettivi, che tuttavia inizierebbero a venire erogati solo «una volta che le condizioni sul campo lo consentiranno». Un intervento che ha tutta l’aria di essere di facciata, insomma, come confermano le parole di inizio e fine comunicato: con questa misura l’UE vuole contribuire ad arrivare a «una pace duratura e sostenibile fondata sulla soluzione dei due Stati», ma naturalmente senza riconoscere la Palestina.
La proposta di finanziamento europea ruota attorno a tre «pilastri»: supporto ai servizi, sostegno alla ripresa e alla stabilizzazione della Cisgiordania e di Gaza, e supporto al settore privato. Per quanto concerne il primo punto, l’UE intende stanziare circa 620 milioni di euro in sovvenzioni di assistenza diretta al bilancio dell’Autorità Nazionale Palestinese. «Tali sovvenzioni», si legge nel comunicato, serviranno principalmente «ad attuare le riforme chiave in materia di sostenibilità fiscale, governance democratica, sviluppo del settore privato e infrastrutture e servizi pubblici, contribuendo alla costruzione sostenibile dello Stato nei territori palestinesi». Riguardo ai fondi dedicati alla ripresa e alla stabilizzazione della Striscia, l’UE propone un pacchetto di massimo 576 milioni di euro «in sovvenzioni per sostenere progetti concreti sul campo» nei settori dell’acqua, dell’energia e delle infrastrutture, che verranno erogati solo «quando la situazione lo consentirà». Nell’ambito di questo finanziamento, l’UE propone inoltre un pacchetto di 82 milioni di euro all’anno all’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA). Il piano, infine, prevede 400 milioni da destinare ai privati tramite la Banca Europea per gli Investimenti.
Solo gettandovi un rapido sguardo, è facile notare come l’iniziativa dell’Unione Europea sembri tutto tranne che un inedito slancio filantropico nei confronti dei palestinesi. Il comunicato si apre con un annuncio dai toni decisi in cui l’UE dice di «ribadire il suo incrollabile sostegno al popolo palestinese e il suo impegno per una pace duratura e sostenibile basata sulla soluzione dei due Stati». Si chiude con una nota seguita da un asterisco in cui specifica che «la presente designazione non deve essere interpretata come riconoscimento dello Stato di Palestina». In una situazione come quella attuale, proporre un aiuto finanziario negando il riconoscimento politico rischia di risultare in uno sforzo vano. Se poi nel frattempo si continua a sostenere incondizionatamente lo Stato ebraico, senza esercitarvi pressioni o proporre misure per contenerne i suoi intenti genocidi, quello sforzo sembra configurarsi come una iniziativa di facciata.
Va inoltre sottolineato che la quasi totalità dei finanziamenti verrebbe data in mano all’ANP, che negli ultimi quattro mesi ha tagliato i fondi per le famiglie delle vittime e dei prigionieri palestinesi, chiuso i canali di Al Jazeera [2] in Cisgiordania, e portato avanti l’operazione militare “Protezione della Patria” contro il suo stesso popolo, terminandola in concomitanza con l’avvio dell’operazione “Muro di Ferro [3]” dell’esercito israeliano. Il presidente dell’ANP, Mahmud Abbas, inoltre, ha invitato ad «andare in pensione anticipata» diverse figure politiche di spicco che gli si opponevano, tra cui il segretario del Comitato per gli Affari dei Prigionieri Palestinesi, Qadura Fares [4]. La maggior parte dei finanziamenti stanziati all’ANP, peraltro, è rivolta al funzionamento dell’organizzazione, e non al sostegno del popolo palestinese.
Soffermandosi attentamente sui finanziamenti, infatti, emerge come i fondi stanziati non siano davvero così ingenti come l’UE vorrebbe far credere: gli aiuti diretti alla popolazione palestinese, da finanziare mediante i programmi dell’UNRWA, si attestano a circa 245 milioni di euro, pari a un sesto del pacchetto nella sua interezza. Essi, inoltre, non arriverebbero ora che la situazione nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania risulta particolarmente critica, ma in un non meglio specificato momento in cui «le condizioni lo permettono». Anche i fondi per la ricostruzione sono ben più ridotti di quanto sembri. In questo momento, Israele sta portando avanti un piano di demolizione e occupazione della Cisgiordania, mentre la Striscia risulta in gran parte rasa al suolo: la proposta di pace egiziana [5] avanzata lo scorso marzo promuoveva un piano di ricostruzione della Striscia di Gaza dal valore complessivo di circa 47 miliardi di euro. Di fronte a queste stime, l’UE propone – al netto degli aiuti all’UNRWA – un finanziamento di massimo 330 milioni di euro da spartire tra Gaza e Cisgiordania.
All’8 aprile, data dell’ultimo aggiornamento [6] dell’ONU, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case, l’82% delle terre coltivabili, l’88,5% delle scuole e, in generale, il 69% di tutte le strutture della Striscia. In totale, dall’escalation del 7 ottobre [7], l’esercito israeliano ha ucciso direttamente oltre 51.000 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo [8] della rivista scientifica The Lancet e da una lettera [9] di medici volontari nella Striscia.