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ENI si accorda con l’argentina per sfruttare il gas estratto devastando la Patagonia

Il CEO del colosso fossile italiano ENI, Claudio Descalzi, e il presidente e amministratore delegato della compagnia petrolifera partecipata argentina YPF (Yacimientos Petrolíferos Fiscales), Horacio Marín, hanno ufficialmente siglato [1] un memorandum d’intesa per la cooperazione nello sviluppo del progetto Argentina GNL. A renderlo noto è stata la stessa YPF al termine di una riunione tra i vertici delle due aziende. L’obiettivo è il trasporto, la liquefazione e la successiva esportazione del gas prodotto dal grande giacimento di gas di Vaca Muerta, in Patagonia. Nel giacimento in questione il gas è estratto con la tecnica del fracking (fratturazione idraulica), che richiede l’impiego di elevatissime quantità di acqua ed è causa di frequenti e documentati episodi di contaminazione del suolo e delle falde acquifere, per via degli sversamenti di sostanze tossiche e fanghi petroliferi. Le operazioni hanno inoltre luogo in un territorio parte delle terre ancestrali del popolo indigeno Mapuche, che da tempo si batte contro queste operazioni.

Argentina GNL è il progetto con cui il Paese intende divenire un esportatore energetico affidabile a livello mondiale, con un mercato da 30 miliardi di dollari l’anno entro il 2030, come annunciato [2] dallo stesso Marín. Il tutto può avvenire grazie alle risorse custodite da Vaca Muerta, una formazione geologica situata sul bacino di Neuquén, in Patagonia, e che comprende parte delle province di Neuquén, Río Negro, Mendoza e La Pampa. Si tratta di una formazione geologica “non convenzionale”, il che significa che l’estrazione deve essere effettuata con il metodo del fracking, estremamente dannoso per l’ambiente e per le popolazioni indigene che vi abitano, oltre che possibile causa di eventi sismici. Detta anche fratturazione idraulica, la tecnica consiste nell’estrarre petrolio o gas di scisto da rocce argillose nel sottosuolo. Si effettu una prima perforazione finalizzata a raggiungere i giacimenti nei quali, successivamente, si inietta ad alta pressione una miscela di acqua, sabbia e prodotti chimici di sintesi allo scopo di facilitare la fuoriuscita della risorsa fossile. In primo luogo, alla luce delle grandi quantità di acqua richieste, va citato l’enorme spreco idrico: basti pensare che ogni pozzo avrebbe bisogno tra i 100 mila e i 27 milioni di litri d’acqua. In secondo luogo, c’è l’elevatissimo rischio di contaminazione delle falde acquifere e del suolo, poiché gran parte del liquido iniettato, contenente in media 14 differenti additivi chimici, non riemerge e rimane nel sottosuolo. Inoltre, è stato appurato che questa tecnica può causare [3] eventi sismici.

Ricca di fossili di dinosauri e giacimenti di idrocarburi, Vaca Muerta si estende per circa 30.000 chilometri quadrati. Sono 31 i progetti di estrazione totali per questa vasta zona, di cui solo 5 in fase di produzione. Tra i protagonisti dell’estrazione vi sono YPF e Tecpetrol, oltre tutta la solita schiera di grandi multinazionali del settore. Uno studio [4] pubblicato dalla ONG argentina Fundación Ambiente y Recursos Naturales (Farn) ha rilevato che Vaca Muerta potrebbe rappresentare dal 57% al 67% delle emissioni nazionali di gas serra del Paese entro il 2030. All’industria estrattiva, così come allo sfruttamenti ambientale in generale, si sono sempre opposti i Mapuche [5], popolo originario che vive in una estesa porzione di territorio che comprende Cile e Argentina. Le motivazioni della loro lotta socio-ecologica sono due: tutela del territorio e conservazione dell’ambiente naturale (da cui traggono la loro economia di sussistenza). I mega-progetti di estrazione fossile occupano terreno, portando all’espropriazione e all’espulsione da vaste aree. Le attività di estrazione creano poi un impatto ambientale enorme su aria, acqua e suolo, distruggendo l’habitat naturale da cui i Mapuche trovano nutrimento, fisico e spirituale.

Sono state numerose, negli anni, le proteste del popolo mapuche contro lo sfruttamento delle risorse della zona, così come i tentativi di dialogo con la YPF. Tuttavia, con l’insediarsi del governo Milei la situazione non sembra che peggiorare per i legittimi proprietari di queste terre: lo scorso anno, il governo ha infatti inviato 300 militari a presidiare il giacimento, al fine di impedire ai mapuche di interferire con le operazioni estrattive.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.