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Capoeira, il ritmo eterno della resistenza anticoloniale

Due jogadores, accovacciati ai piedi del berimbau, ascoltano il canto del mestre che, oltre a suonare lo strumento, intona una ladainha. Intorno, disposte in cerchio, varie persone rispondono in coro alle sue incitazioni. Quando il mestre affonda leggermente verso il centro la punta del berimbau, ha inizio il jogo. In questo cerchio, chiamato roda, risiede l’essenza della capoeira. 

Nonostante vi siano dubbi sulle origini, la capoeira è strettamente legata alla storia dello schiavismo che ha interessato le coste centrorientali dell’Africa e la colonia portoghese in Brasile, nel periodo compreso tra il XVI secolo e il 1888, anno in cui in Brasile fu formalmente abolita la schiavitù.

Osservando un jogo (letteralmente “gioco”) di capoeira, ci si può inizialmente chiedere se si tratti di una lotta, una danza o un rito: la risposta risiede nelle origini controverse di questo elemento centrale della cultura brasiliana. Una delle teorie racconta che gli schiavi, impiegati nelle piantagioni, si allenassero per difendersi dalle violenze dei colonizzatori, camuffando le tecniche di lotta sotto forma di danza, probabilmente ispirata alle tradizioni dei loro Paesi d’origine. Un’altra ipotesi sostiene invece che la capoeira sia nata nei quilombos, comunità di liberti, con l’obiettivo di preservare culti e pratiche ancestrali. La sintesi di queste esigenze ha dato origine a forme di attacco e difesa, intervallate dal movimento base della capoeira: la ginga, un passo terzinato utile a mantenere l’equilibrio. Il termine, che sembra derivare da un dialetto bantu parlato in Angola, significa “ondeggiare, ballare, giocare”, e dalla capoeira è entrato anche in altri ambiti sportivi, come nel calcio, con la celebre ginga di Pelé. 

Praticata ovunque, dagli spazi chiusi delle academias ai luoghi aperti come piazze e spiagge, la capoeira, pur avendo perso la sua funzione originaria di difesa, conserva una ritualità profonda, legata alla spiritualità e alla memoria storica brasiliana. Ogni jogo comincia con un canto commemorativo, la ladainha (letteralmente “litania”), intonato solitamente dal mestre o dal jogador più esperto. In questo canto si raccontano episodi di vita e aspetti della capoeira, con frequenti omaggi ai maestri che nel tempo ne hanno garantito la trasmissione. Al termine della ladainha, la bateria (insieme di strumenti a percussione) cambia ritmo e il jogo entra nel vivo. I due contendenti iniziano lo scambio con calci, schivate, sgambetti e movimenti acrobatici come verticali, (ruote con le gambe piegate) e salti. Durante il jogo, il berimbau può indicare ai giocatori di fermarsi per lasciare spazio ad altri. 

Tra gli elementi fondamentali della capoeira c’è senza dubbio la musica. La bateria, che dà il ritmo al jogo, include strumenti della tradizione afrobrasiliana: atabaque, pandeiro, agogô e reco-reco accompagnano il berimbau, uno strumento a corda simile a un arco, composto da un fusto di bambù, una corda metallica e una cassa acustica ricavata da una zucca essiccata. Il ritmo, generalmente terzinato, regola l’intensità dello scambio, alternando fasi più lente a momenti più dinamici. 

Il canto, simile al blues per il suo schema a botta e risposta tra solista e coro, racconta la sofferenza dello schiavismo, la nostalgia per le terre d’origine e la devozione verso la capoeira. Con l’abolizione della schiavitù, la capoeira – allora associata a bande criminali – fu vietata nel 1890, restando in clandestinità fino agli anni Trenta del XX secolo. A svolgere un ruolo centrale nella sua riscoperta fu Mestre Bimba, che cercò di liberarla dagli stereotipi criminali fondando la Luta Regional da Bahia (nota anche come Capoeira Regional), una forma di capoeira più acrobatica e priva di ritualità. Nel 1942, per evitare che si perdesse il legame storico e culturale, Mestre Pastinha fondò invece la Capoeira Angola, una versione più lenta e cadenzata, ispirata alle forme tradizionali del jogo in epoca coloniale. 

«La capoeira non si fonda sul colpo, bensì sulla possibilità di questo», spiega Mestre Gil Maciel durante una roda nella sua scuola di Barcellona. L’essenza del jogo risiede nella capacità di rivelare l’intenzione di colpire senza farlo, esponendo i punti deboli dell’avversario e dando spazio alla strategia più che al contatto. Anche per questo, chi gioca indossa abiti bianchi: simbolo della propria abilità nello schivare i colpi e della purezza di un’arte che non prevede violenza intenzionale. Nella roda si concentra l’eredità del sacrificio della tratta schiavista, la resistenza di chi nella danza nascondeva la propria difesa e il ricordo di coloro che, anche attraverso la capoeira, hanno lottato per la dignità di un intero popolo.

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Armando Negro

Laureato in Lingue e Letterature straniere, specializzato in didattiche innovative e contesti indipendentisti. Corrispondente da Barcellona, per L’Indipendente si occupa di politica spagnola, lotte sociali e questioni indipendentiste.