La politica di Israele a Gaza è «chiara e inequivocabile»: è il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, a gettare la maschera su quello che era ormai evidente e sotto gli occhi di tutti. E questa consiste di alcuni punti fondamentali: occupare in maniera permanente la Striscia e bloccare tutti gli aiuti umanitari alla popolazione, proseguendo nel mentre con bombardamenti ininterrotti. Con il pretesto di creare una «zona cuscinetto» tra i palestinesi e gli insediamenti israeliani illegali, l’IDF (Israel Defence Forces, l’esercito israeliano) «non abbandonerà le zone bonificate e conquistate». Allo stesso tempo, al fine di esercitare pressioni su Hamas, verranno bloccati tutti gli aiuti umanitari, mentre saranno condotti «attacchi continui contro i terroristi di Hamas e le infrastrutture terroristiche».
Come per Libano e Siria, dunque, l’esercito israeliano non abbandonerà le zone della Striscia di Gaza attualmente occupate. La dichiarazione è una prima ammissione pubblica esplicita delle politiche israeliane, ma è qualcosa di largamente atteso da tempo, che rientra negli obiettivi di Israele sin dall’inizio dell’aggressione contro Gaza. Come svelato [1] pochi giorni fa dal quotidiano Haaretz, che aveva pubblicato i progetti fino ad ora rimasti segreti del governo di Netanyahu, il 16% dell’enclave sarà infatti destinato a diventare una «zona cuscinetto», nella quale le case dei palestinesi (o quel che ne rimane) saranno completamente rase al suolo e sarà vietato del tutto il ritorno dei legittimi proprietari. Contemporaneamente, sarà creato un corridoio, situato nel mezzo della Striscia, che permetterà a Israele di «controllare il traffico sulle strade strategiche, che sono al centro dei negoziati con Hamas».
L’occupazione permanente della Striscia rientrava poi nel piano [2] presentato da Netanyahu a pochi mesi dall’inizio dell’aggressione militare contro Gaza ed è stato sostanzialmente riconfermato nella proposta [3] di “pace” avanzata da Israele alla fine dello scorso anno. Ancora prima che Trump avanzasse i propri progetti di ricostruzione della Striscia per renderla la «Riviera del Medio Oriente», poi, l’ufficio del primo ministro israeliano aveva reso pubblico un progetto [4] avvenieristico, nel quale si ipotizzava di rendere la Striscia un futuristico hub commerciale. Il piano di occupazione gode inoltre del pieno appoggio dell’alleato numero uno di Israele, ovvero gli Stati Uniti: era stato proprio il presidente statunitense Trump a dichiarare [5], qualche settimana fa, che «I palestinesi non avranno il diritto al ritorno nelle proprie case».
A questa ammissione il ministro della Difesa Katz ne aggiunge un’altra, resa nella maniera più esplicita possibile proprio per spazzare via ulteriori dubbi sulle intenzioni israeliane. «Impedire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza è uno dei principali strumenti di pressione, che impedisce ad Hamas di usare questa misura contro la popolazione, oltre alle altre misure che Israele sta adottando» ha dichiarato [6] senza mezzi termini, aggiungendo, a scanso di equivoci, che «nella realtà attuale, nessuno è disposto a portare aiuti umanitari a Gaza e nessuno si prepara a far entrare alcun tipo di aiuto».
Da quando Israele ha deliberatamente violato e fatto decadere il cessate il fuoco, nella Striscia la popolazione è tornata a soffrire la fame e la sete a livelli allarmanti. Secondo gli ultimi aggiornamenti [7] delle Nazioni Unite, il 91% della popolazione di Gaza, ovvero 1,95 milioni di persone, si trova in una situazione di carenza di cibo e acqua. Questo in un contesto dove oltre l’80% dei terreni coltivabili è stato distrutto, insieme al 55% dei sistemi di irrigazione, insieme al 75% delle navi da pesca, mentre il 95% del bestiame è morto. A questo si aggiunge il fatto che l’accesso all’acqua potabile non è garantito nel 91% delle case, che viene associato anche a un grave rischio di contrarre malattie gravi. Due terzi della della popolazione di Gaza riceve meno di 6 litri di acqua al giorno per bere e cucinare.
Il deliberato utilizzo dell’affamamento della popolazione come strumento di guerra e di pressione costituisce un crimine di guerra, ai sensi del diritto internazionale al quale Israele dovrebbe, in teoria, sottostare. Come già spiegato [8] in passato da varie ONG per la tutela dei diritti umani, oltre che da esperti ed organizzazioni internazionali, privare la popolazione delle risorse necessarie per la sopravvivenza e violare gli obblighi imposti dalla Corte dell’Aja in merito all’invio di aiuto ai civili sono decisioni che dovrebbero – almeno in teoria – costare pesanti sanzioni a Israele. Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato che, in quanto «potenza occupante», Israele ha «obblighi inequivocabili» derivanti dal diritto internazionale, in particolare in materia di diritti umani e umanitari – dei quali il blocco degli aiuti umanitari costituisce una grave violazione. Nel frattempo, «ai punti di attraversamento, si accumulano cibo, medicine e rifornimenti per ripari, e attrezzature vitali restano bloccate».
Nelle frattempo, almeno 35 persone sono state uccise ieri negli attacchi israeliani sulla Striscia, portando così il numero dei civili assassinati nel corso dell’aggressione (che dura ormai ininterrottamente da 18 mesi) a oltre 51 mila secondo il ministero della Sanità di Gaza, mentre superano i 116 mila i feriti. L’ufficio stampa del governo di Gaza, citato da Al Jazeera, sostiene invece che il conteggio reale delle vittime ammonti ad almeno 61.700, tenuto conto del fatto che è improbabile che le migliaia di persone ancora schiacciate sotto le macerie vengano ritrovate vive.