Nella giornata di oggi i corrieri Amazon incroceranno le braccia per 24 ore, bloccando le consegne in tutta Italia. Lo sciopero, proclamato da Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, riguarda i lavoratori dell’“ultimo miglio” e nasce dall’interruzione della trattativa sul contratto nazionale di secondo livello. I sindacati chiedono aumenti salariali legati alle trasferte, una riduzione strutturale dell’orario e più tutele sulla sicurezza, inclusa la sospensione delle consegne in caso di allerta meteo rossa. Assoespressi, secondo le sigle, resta ferma su posizioni inaccettabili. Amazon ha replicato auspicando la ripresa del dialogo e ribadendo l’attenzione per sicurezza e condizioni realistiche di lavoro per i propri fornitori. Eppure, la realtà racconta tutt’altro spaccato.
All’interno di un comunicato, i sindacati hanno motivato la protesta. «Con grande senso di responsabilità abbiamo partecipato all’incontro, convocato su richiesta di Assoespressi, per verificare la possibilità di trovare un’intesa che realizzasse le legittime richieste del personale rappresentato ma, purtroppo, la stessa associazione datoriale ha ribadito alcune sue posizioni, relativamente ad elementi fondamentali per una possibile intesa», hanno scritto [1] Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti. Le sigle sindacali chiedono «con forza» un «incremento sostanziale del valore della trasferta, con un importante risultato relativamente al salario, con incrementi anno per anno», accompagnato da una «strutturale riduzione dell’orario di lavoro, con conseguente abbattimento dei carichi e delle consegne, che può avvenire non saturando la flessibilità» e «un passo avanti sulla qualità dell’occupazione», attraverso «percorsi condivisi di stabilizzazione dei contratti di lavoro precari». Centrale anche la questione sicurezza, con i sindacati che chiedono «la previsione di interruzione o chiusura dei servizi in caso di allerta meteo rossa, a tutela dell’incolumità dei driver». Nella cornice dello sciopero, Filt Cgil Roma Lazio, Fit Cisl Lazio e UilTrasporti Lazio hanno promosso presìdi unitari davanti agli stabilimenti Amazon di Settecamini, Pomezia e Magliana. Lo stesso è avvenuto a Vicenza, dove i lavoratori si sono riuniti davanti al polo Amazon DVN3, e ad Arzano (Napoli), con un presidio presso lo stabilimento dell’azienda.
Come da abitudine, Amazon ha negato ogni accusa, reagendo con una nota in cui si legge che l’azienda collabora «con decine di fornitori di servizi di consegna, che forniscono opportunità lavorative a migliaia di persone che si occupano di consegnare gli ordini ai nostri clienti in Italia» e lavora «a stretto contatto con i fornitori per definire obiettivi realistici, che non mettano pressione su di loro o sui loro dipendenti». Amazon aggiunge che «l’attenzione in materia di sicurezza rappresenta una costante», poiché «nell’eventualità di un’allerta meteo» l’azienda monitora «attentamente la situazione», seguendo «le indicazioni delle autorità locali e provinciali per garantire alle persone di operare in sicurezza nell’effettuazione del servizio di consegna per i nostri clienti». In merito allo sciopero, Amazon dichiara di confidare che «le trattative per l’accordo di secondo livello tra le aziende fornitrici di servizi di consegna, l’associazione datoriale che le rappresenta e le organizzazioni sindacali possano riprendere e giungere ad un esito positivo».
Una motivazione, quella di Amazon, che evidentemente non convince i sindacati. E che, d’altra parte, è messa in discussione dai fatti di cronaca che si sono succeduti negli ultimi tempi. Se è vero che la multinazionale, per le condizioni di lavoro offerte, è al centro di grandi proteste in tutto il mondo, anche la divisione italiana non è stata risparmiata da contestazioni, così come da inchieste giudiziarie. Lo scorso luglio, la Guardia di Finanza di Milano ha sequestrato 121 milioni di euro alla filiale italiana di Amazon, accusata dalla Procura di frode fiscale. L’indagine [2], coordinata dai pm Paolo Storari e Valentina Mondovì, si concentra su quelli che vengono definiti «serbatoi di manodopera», che costituiscono un sistema attraverso cui grandi aziende si garantiscono «tariffe altamente competitive» sul mercato appaltando irregolarmente per la logistica la manodopera a cooperative, consorzi e società «filtro», con annesso «sfruttamento del lavoro» e omesso versamento di Iva e contributi.