Tito Livio, duemila anni fa, scriveva: «La guerra si nutre da sola». Questa massima suona ancora attuale, in un mondo segnato a varie latitudini da conflitti che si auto alimentano in una spirale fatta di interessi territoriali, economici e politici. Ma dal punto di vista economico la macchina bellica necessita di costanti fondi: solo nel 2023 la spesa globale destinata alla ricerca e alla produzione di armi, al mantenimento degli eserciti e – in generale – a quello che vine chiamato con un certo gusto dell’ossimoro “settore della Difesa”, ha toccato un nuovo record, superando i 2200 miliardi di dollari. A rendere possibile il mantenimento di questa colossale macchina ci sono innanzitutto le banche, senza i cui prestiti e investimenti il settore collasserebbe su sé stesso. Mentre alcuni istituti finanziari si impegnano per una finanza etica, molte delle banche più influenti, anche nel nostro Paese, continuano infatti a finanziare l’industria bellica, alimentando conflitti che destabilizzano intere regioni. È dunque essenziale esplorare il ruolo delle cosiddette “banche armate”, analizzando dati, strategie e implicazioni di un settore che incide direttamente sulla vita di milioni di persone. E anche capire quale scegliere se non si vuole essere complici del finanziamento bellico.
Il finanziamento dell’industria bellica
Il termine “banche armate” si riferisce agli istituti finanziari che forniscono supporto economico all’industria degli armamenti, sostenendo e facilitando la produzione e il commercio di armi attraverso vari strumenti finanziari. Questo fenomeno solleva questioni etiche e politiche, poiché il settore bancario non si limita a intermediare capitali, ma influenza direttamente lo sviluppo dei conflitti globali. Le banche armate contribuiscono al settore degli armamenti attraverso una serie di meccanismi, in primis quello dell’erogazione di prestiti, fornendo capitali ai produttori di armi e consentendo a tali aziende di investire in ricerca, sviluppo e produzione. Vi è poi il capitolo degli investimenti azionari: molte banche acquistano quote di società attive nella produzione di armamenti, traendo così profitti dalla vendita di armi. Spesso, inoltre, le imprese del settore della difesa emettono titoli di debito al fine di raccogliere capitali sui mercati finanziari, con le banche che facilitano queste operazioni garantendo l’acquisto delle obbligazioni e rivendendole agli investitori. In ultimo, le banche fungono sovente da intermediari nei flussi finanziari tra produttori di armi e governi, assicurando che i pagamenti delle esportazioni vengano effettuati in modo sicuro e discreto.

A livello globale, secondo quanto attestato da un rapporto della Global Alliance for Banking on Values (GABV), tra il 2020 e il 2022 almeno 959 miliardi di dollari sono stati destinati all’industria della difesa da parte di banche, fondi di investimento e assicurazioni. A dominare questo mercato sono le istituzioni finanziarie statunitensi, con Vanguard (92 miliardi), BlackRock (68 miliardi) e State Street (67 miliardi) tra i principali investitori in aziende del settore bellico. Dietro la produzione e la vendita di armi, esiste un complesso sistema di finanziamenti che passa attraverso le banche. I primi 10 investitori europei hanno contribuito complessivamente con 79 miliardi di dollari, pari all’8% del totale, e sono tutti presenti tra i primi 40 istituti finanziari che investono nell’industria delle armi a livello globale. Sul podio si piazzano la francese BNP Paribas (14 miliardi), la tedesca Deutsche Bank (13 miliardi) e la francese Crédit Agricole (10 miliardi). I primi cinque investitori della regione Asia-Pacifico provengono invece tutti dal Giappone: hanno complessivamente investito 45 miliardi di dollari, pari al 5% del totale degli investimenti. La maggior parte degli investimenti nel settore degli armamenti è rappresentata dalle azioni, che ammontano a 660 miliardi di dollari, mentre le obbligazioni costituiscono meno dell’1% del totale. Tuttavia, questi dati sono basati su informazioni pubbliche limitate e, quindi, non forniscono un quadro completo della situazione. È probabile che le cifre reali siano significativamente più alte, poiché non esiste un database ufficiale in grado di tracciare in modo esaustivo tutti gli investimenti, i prestiti e i servizi finanziari forniti dagli istituti bancari e finanziari a livello globale all’industria degli armamenti.
L’industria delle armi, come qualsiasi altro settore economico, ha bisogno di finanziamenti per funzionare. Dallo sviluppo di nuove tecnologie alla produzione su larga scala, fino alla vendita a Stati e privati, tutto il processo richiede un forte supporto finanziario. Le banche forniscono capitale liquido, garanzie e accesso ai mercati internazionali, senza i quali molte aziende belliche non potrebbero sopravvivere. Inoltre, le banche agiscono come mediatori tra gli Stati e le industrie belliche, facilitando transazioni che spesso restano nell’ombra. I governi possono ad esempio acquistare armamenti attraverso finanziamenti agevolati, mentre le aziende possono espandere le loro operazioni grazie a prestiti bancari e emissioni obbligazionarie garantite dagli istituti finanziari.
Le banche che operano in Italia

In Italia, la legge 185/90 prevede l’obbligo per gli istituti bancari di dichiarare le operazioni finanziarie legate all’export di armi al Ministero dell’Economia. Tuttavia, molti movimenti di capitale rimangono opachi a causa dell’utilizzo di filiali estere, di triangolazioni finanziarie e di strumenti derivati per mascherare le transazioni. Negli ultimi cinque anni, il legame tra il settore bancario italiano e l’industria bellica ha mostrato una tendenza in costante evoluzione, con picchi, frenate e nuove dinamiche che hanno ridefinito il panorama delle cosiddette “banche armate”. Il 2019 ha segnato una svolta significativa nella crescita delle transazioni bancarie legate all’export di armamenti. Secondo i dati ufficiali, l’importo complessivamente movimentato ha superato i 10 miliardi di euro, con un incremento del 27,5% rispetto al 2018. Il valore delle esportazioni definitive ha toccato i 9,5 miliardi di euro, una cifra impressionante se si pensa che nel 2014 l’export ammontava a soli 2,5 miliardi (la crescita è del 278% in soli cinque anni). Unicredit si è affermata come la banca più coinvolta nel settore, raccogliendo il 58,11% dell’ammontare complessivo delle transazioni legate alle sole esportazioni definitive. Seguivano Deutsche Bank, con il 10,61%, e Intesa Sanpaolo, con il 10,57%. Complessivamente, dunque, i tre gruppi hanno controllato oltre l’80% del mercato. L’anno successivo ha visto un rallentamento delle autorizzazioni individuali all’esportazione, con una riduzione del 3,86% rispetto al 2019, passando da 4,085 miliardi a 3,9 miliardi di euro. Tuttavia, questa flessione è stata bilanciata da un incremento del 177% nelle autorizzazioni globali di trasferimento, ossia le forniture destinate a programmi congiunti con altri Paesi dell’UE e della NATO. Il valore totale delle esportazioni è comunque calato del 10%, fermandosi a 4,6 miliardi di euro. Il Nordafrica e il Medio Oriente si sono confermati come le principali destinazioni, con vendite di armamenti a Egitto, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Il volume delle transazioni bancarie segnalate è sceso a 7,8 miliardi di euro. In questo contesto, Intesa Sanpaolo ha sorpassato Deutsche Bank, posizionandosi al secondo posto tra gli istituti di credito più coinvolti nelle operazioni.
Il 2021 ha segnato un netto rimbalzo, con un aumento dell’87% nelle transazioni legate all’export di armi. Unicredit ha mantenuto la sua leadership, gestendo transazioni per 2,4 miliardi di euro (44% del totale), seguita da Intesa Sanpaolo (1,1 miliardi) e Deutsche Bank (803 milioni). A beneficiare di questa crescita sono state soprattutto tre aziende: Leonardo, che ha assorbito oltre il 55% dell’export, Fincantieri (20,36%) e Iveco Veicoli da Difesa (3,93%). Il 2022 ha confermato la tendenza alla crescita. L’importo complessivo delle transazioni bancarie, tra importi segnalati, accessori e finanziamenti, ha toccato quota 14,7 miliardi di euro, in aumento rispetto ai 13 miliardi del 2021 e quasi il doppio rispetto ai 6,9 miliardi del 2020. Unicredit si è confermata leader, con transazioni per circa 2,5 miliardi di euro, seguita da Intesa Sanpaolo (in calo del 27%) e Deutsche Bank (in calo del 7%). Un dato sorprendente è stato il balzo della Banca Popolare di Sondrio, che con 249,8 milioni di euro ha registrato un incremento del 60% rispetto all’anno precedente. Nel 2023 si è assistito a un ridimensionamento delle operazioni. La Relazione governativa ha evidenziato un calo del 19% nel valore delle operazioni bancarie a sostegno dell’export definitivo di armi e una diminuzione del 42% nella nuova tabella relativa a finanziamenti e garanzie. Unicredit, pur restando leader del settore, ha visto le proprie transazioni ridursi del 46% rispetto al 2022. Tuttavia, alcune piccole banche locali hanno visto aumentare il loro coinvolgimento nel settore, come la Banca Valsabbina, che ha triplicato il proprio volume di transazioni, e la Banca di Credito Cooperativo di Barlassina, una nuova entrata nel settore.
Un futuro incerto
Le banche armate rappresentano un nodo cruciale nell’intreccio tra finanza e guerra. Senza il supporto del sistema finanziario, il commercio di armi su larga scala sarebbe molto più difficile, se non impossibile. Per questo motivo, diventa fondamentale che cittadini e consumatori siano consapevoli di come il loro denaro viene utilizzato. Chiunque abbia un conto corrente, un fondo pensione o un’assicurazione potrebbe, indirettamente, contribuire al finanziamento dell’industria bellica. Le banche utilizzano il denaro dei risparmiatori per investimenti e prestiti, e se una parte di questi fondi finisce nelle mani dei produttori di armi, diventa una questione etica che riguarda direttamente i cittadini. Molte banche, peraltro, non informano chiaramente i propri clienti su come vengono utilizzati i loro soldi, dunque chiedere trasparenza e scegliere istituti di credito etici è un primo passo per avere un maggiore controllo sul proprio denaro. Il finanziamento delle armi non è solo una questione economica, ma ha conseguenze dirette sulla stabilità globale. Molti conflitti sono alimentati da armi prodotte in Paesi che si dichiarano pacifici, mentre in realtà sostengono indirettamente guerre e violazioni dei diritti umani. Esistono banche eticamente orientate, delle quali parleremo più avanti, che si rifiutano di finanziare l’industria bellica e investono invece in settori sostenibili. Informarsi e scegliere istituti bancari con politiche chiare sul disinvestimento dalle armi è un modo per contribuire alla pace in maniera concreta.

Per quanto concerne il ruolo degli istituti di credito italiani, si può certamente constatare come varie banche del nostro Paese abbiano un ruolo chiave nel sostenere l’industria bellica, fornendo capitali, prestiti e servizi finanziari ai produttori di armi. Tra le principali si trovano Unicredit, con investimenti significativi nelle aziende produttrici di armi, incluse quelle che operano in Paesi coinvolti in conflitti armati, e Intesa Sanpaolo, la quale, sebbene abbia adottato alcune politiche di limitazione agli investimenti nel settore delle armi, continua a finanziare aziende del comparto difesa; tra le più attive ci sono poi Banco BPM, che fornisce servizi finanziari ad aziende produttrici di armi, con particolare attenzione al mercato europeo, e Mediobanca, coinvolta nelle operazioni finanziarie di grandi gruppi della difesa. In generale, l’andamento delle transazioni bancarie legate all’export di armi dal 2019 al 2023 evidenzia un’alternanza di fasi di crescita esplosiva e momenti di riduzione del volume d’affari. Se da un lato le grandi banche come Unicredit e Intesa Sanpaolo continuano a dominare il settore, dall’altro si sta assistendo all’ingresso di istituti di credito di dimensioni minori, che sembrano intenzionati a ritagliarsi uno spazio in questo business. La tendenza del 2023 suggerisce un possibile ridimensionamento del fenomeno, ma resta da vedere se si tratti di una flessione momentanea o dell’inizio di un cambiamento strutturale nel settore.
Quale banca scegliere per non essere complici
La maggior parte dei più grandi istituti finanziari italiani è dunque coinvolta, in maniera significativa o moderata, nelle attività legate all’industria militare. Questa dato emerge chiaramente dal rapporto ZeroArmi, elaborato dalla Fondazione Finanza Etica in collaborazione con Rete Italiana Pace e Disarmo, che rappresenta il primo strumento in Italia e in Europa finalizzato a valutare l’entità della partecipazione delle principali banche italiane nel finanziamento e nel sostegno del settore bellico. Lo studio è stato effettuato attraverso l’analisi di tre ambiti fondamentali: le partecipazioni azionarie in aziende della difesa, i finanziamenti diretti a programmi militari e il supporto logistico all’export di armamenti. In un quadro di crescenti spese militari e di legami sempre più consolidati tra il comparto della difesa e il sistema bancario, diventa fondamentale per i cittadini acquisire consapevolezza su come vengono utilizzati i propri risparmi.
La classifica
La valutazione delle banche assegna punteggi in un intervallo da 0 a 75, con una suddivisione in fasce di 5 punti che consente di classificare con buona precisione il livello di coinvolgimento delle banche nel settore degli armamenti. Gli istituti di credito che sommano tra 0 e 5 punti mostrano un coinvolgimento nullo o minimo; tra 20 e 40 punti il coinvolgimento è moderato, mentre oltre i 40 diventa significativo. I risultati rivelano che i due colossi Intesa Sanpaolo e Unicredit emergono come le banche più esposte, con un coinvolgimento significativo nel comparto militare. Questi istituti vantano storicamente rapporti consolidati con le grandi aziende della difesa, sostenendo operazioni di finanziamento e facilitazione dell’export di armamenti. In entrambi i casi, il range di valutazione si attesta a tra 40 e 45 su una scala di 75, con una «estesa partecipazione ad attività connesse all’industria a produzione militare, su tutti e tre gli assi considerati da ZeroArmi». Altri istituti, come Banca Mediolanum, Crédit Agricole, Mediobanca e ICCREA, presentano un livello di coinvolgimento considerato moderato (20/40 punti). Ciò significa che, sebbene con un impegno minore rispetto ai colossi del settore, queste banche mantengono comunque legami con aziende attive nella produzione e nel commercio di armamenti. Un livello di coinvolgimento minore (tra i 10 e i 20 punti) è attribuito a Cassa Centrale Banca, BPER, Banco BPM e Cassa Depositi e Prestiti, che, nonostante non possano essere definite totalmente “virtuose”, mostrano una propensione a ridurre il supporto diretto al settore militare e ad adottare una maggiore trasparenza operativa. L’unico istituto che, secondo le statistiche diramate nel report, si distingue per un coinvolgimento nullo o minimo è Banca Etica, che per statuto esclude qualsiasi finanziamento all’industria delle armi. Un dato che non sorprende, considerando che la banca ha sempre promosso un modello finanziario basato su criteri di sostenibilità e impatto sociale positivo, finanziando iniziative che promuovono il benessere collettivo, come energie rinnovabili, cooperazione sociale e progetti di economia sostenibile.
L’importanza della trasparenza
L’aumento delle spese militari globali e il sostegno degli Stati all’industria bellica rendono sempre più necessario un monitoraggio del ruolo delle banche. Il report ZeroArmi dimostra come il settore finanziario giochi un ruolo chiave nel supportare – o limitare – la proliferazione degli armamenti.
Le scelte dei risparmiatori possono influenzare queste dinamiche: conoscere il grado di coinvolgimento degli istituti bancari permette di optare per realtà più trasparenti e responsabili. Il dibattito si acuisce ulteriormente alla luce delle proposte di revisione della Legge 185/1990, la normativa che fino a oggi ha imposto obblighi di trasparenza sulle operazioni di esportazione di armi. L’eventuale allentamento di tali obblighi potrebbe infatti ridurre la capacità di monitorare il coinvolgimento delle banche nel settore bellico, rendendo ancora più difficile per i risparmiatori fare scelte informate. In questo scenario, strumenti come ZeroArmi assumono un’importanza strategica, offrendo informazioni che permettono di operare concreti distinguo sui legami tra istituti di credito e operazioni legate all’industria degli armamenti.
Articolo molto interessante e altrettanto utile, grazie!