A quattordici anni dal referendum sull’acqua pubblica Napoli è stata l’unica tra città, regioni e parlamento ad attuare la volontà unanime del popolo italiano. L’Italia si unì sul primo bene comune dell’umanità. Ma si è realizzato un tradimento enorme da parte di tutte le forze politiche.
Divenni sindaco di Napoli dieci giorni prima del referendum e dopo pochi mesi avevamo già trasformato la società per azioni che gestiva l’acqua in città in un’azienda speciale pubblica sottraendo l’acqua dal mercato e dalla perversa logica del profitto. Non è stato facile. Difficile anche trovare un notaio che volesse redigere lo statuto, arduo rassicurare i sindacati, complicato gestire complesse questioni economiche, finanziarie e di bilancio, per non parlare delle tortuosità giuridiche. Ci siamo sempre mossi in una logica costituzionalmente orientata. Un lavoro enorme, fatto insieme dalla politica cittadina e dai movimenti, nelle reciproche autonomie. Con l’azienda speciale si possono produrre utili e non profitti e tutti gli utili vanno obbligatoriamente investiti nel ciclo delle acque. Ai vertici dell’azienda un consiglio di amministrazione con cinque componenti scelti dal sindaco a seguito di una manifestazione di interesse pubblica. Due dei cinque vanno obbligatoriamente selezionati su nominativi proposti da associazioni ambientaliste. Il comitato di sorveglianza è composto da lavoratori e lavoratrici che partecipano all’organizzazione dell’azienda, in attuazione dell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione.
L’azienda, che abbiamo chiamato ABC (acqua bene comune), negli anni è divenuta sempre più solida, un vero e proprio modello. Abbiamo attratto nelle competenze di ABC anche fogne e depurazione. L’azienda con gli anni ha fatto utili, è stata quindi in attivo, gestita con correttezza e trasparenza. Le tariffe sono tra le più basse d’Italia e di gran lunga più economiche rispetto alle città in cui operano in una logica privatistica le multinazionali. L’acqua è buona e tra le più controllate d’Europa. Con gli utili si sono fatti investimenti sulle nuove tecnologie di digitalizzazione per il monitoraggio dell’acqua, su infrastrutture per ridurre la dispersone di acqua, per migliorare i servizi. Si è operato su progetti per garantire acqua alle fontane, ai beverini pubblici in città e per i più fragili, a cominciare dai campi rom. Abbiamo aperto, in progetti di cooperazione internazionale decentrata, due fonti di acqua: una in Palestina e l’altra in Siria. Con gli anni abbiamo anche assunto centinaia di persone e stabilizzato tutti i lavoratori del settore. Nello statuto della città di Napoli abbiamo introdotto l’acqua come bene comune e quando sono divenuto sindaco della città metropolitana ho esteso il progetto dell’acqua pubblica anche lì.
Tutte le istituzioni ci hanno ostacolato, nonostante fossimo gli unici ad aver rispettato la volontà referendaria. La Regione Campania che gestisce le sorgenti di acqua ci ha sempre ostacolato perché agisce con le multinazionali. I governi nazionali tutti ostili. Soprattutto il governo Draghi, sostenuto praticamente da tutto l’arco parlamentare dei partiti, quando fu approvato il disegno di legge sicurezza in cui si costringevano gli enti locali a privatizzare i servizi pubblici, acqua compresa. Ricordo anche quando non approvarono un nostro progetto di finanziamento con il PNRR sostenendo che un’azienda speciale pubblica non poteva ottenere i fondi del piano europeo e invece ne potevano beneficiare le multinazionali.
Da oltre tre anni Napoli è guidata da un sindaco e da una giunta sostenuta da tutto il centro-sinistra che sta smantellando l’azienda pubblica perché vuole ritornare alla società per azioni, al profitto, all’occupazione partitocratica. Un doppio tradimento perché si tradisce non solo il referendum ma si distrugge l’unica applicazione che c’è stata in Italia del referendum. Traditori e ipocriti, perché la maggioranza politica che li sostiene continua a fare post e comizi in cui si dicono per l’acqua pubblica. Predicano bene e razzolano malissimo, il contrario della coerenza. Ecco perché quello che è stato durante il mio mandato di sindaco il laboratorio Napoli dei beni comuni va difeso perché è sotto attacco da un accordo trasversale centro-destra/centro-sinistra con il collante dei poteri forti e con il ritorno di una gigantesca questione morale.