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Trump chiede alla Siria di deportare i combattenti palestinesi e manda altre bombe a Israele

Gli Stati Uniti hanno imposto alla Siria post-Assad le proprie condizioni per rinnovare le relazioni diplomatiche: attuare misure per ricostruire l’economia siriana, combattere le “organizzazioni terroristiche” ed espellere i combattenti palestinesi dal suolo siriano. La notizia arriva sullo sfondo di una nuova spedizione di armi a Israele, approvata la scorsa settimana dall’amministrazione statunitense. Quest’ultima consegna prevede l’invio di oltre 3.000 munizioni statunitensi da destinare all’aeronautica militare dello Stato ebraico, alle quali si aggiungono ulteriori 10.000 munizioni, congelate dal memorandum di Biden. Nel frattempo, continua il genocidio palestinese a Gaza, dove, nelle ultime 24 ore, Israele ha ucciso almeno 31 persone.

Le condizioni di Trump alla Siria sono state esposte da un articolo del Wall Street Journal [1], uscito sul quotidiano statunitense giovedì 17 aprile. Gli Stati Uniti hanno avanzato diverse richieste alla Siria in cambio di un parziale allentamento delle sanzioni, del rinnovamento delle relazioni diplomatiche e dell’invio di aiuti umanitari nel Paese. In particolare, l’amministrazione Trump ha chiesto al nuovo governo siriano di mettere in sicurezza le scorte di armi chimiche del Paese e collaborare con l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, attuare misure per ricostruire l’economia siriana e sostenere il ritorno dei rifugiati, combattere «gli estremisti» attivi sul territorio e rilasciare una dichiarazione pubblica contro di essi. Riguardo a quest’ultimo punto, le richieste statunitensi riguardano principalmente l’ISIS e gruppi palestinesi armati. Trump ha chiesto alla Siria di adottare misure per impedire che il Paese diventi una roccaforte di Daesh, e di espellere i militanti palestinesi presenti sul territorio e di impedire loro di raccogliere fondi in Siria. L’amministrazione siriana non sembra aver ancora risposto all’appello.

Nel frattempo, l’amministrazione statunitense ha approvato un’ulteriore spedizione di munizioni pesanti verso Israele. La notizia è stata rivelata dal quotidiano israeliano Ynet [2], che in un articolo datato 14 aprile scrive che «le IDF riceveranno un’ingente fornitura di armi dagli Stati Uniti nelle prossime settimane». Quest’ultimo carico di armi intende integrare un accordo siglato l’anno scorso per l’acquisto di bombe ad alto impatto distruttivo, inizialmente congelato da Biden. L’amministrazione Biden aveva infatti diffuso un memorandum in cui ricordava gli obblighi legali degli USA, che impediscono al Paese di trasferire armi quando è «più probabile di quanto non lo sia» che esse vengano utilizzate per commettere o facilitare il compimento di atti che violano i diritti umanitari. Contrariamente a quanto sostenuto da molti media, non si trattava di un «embargo parziale», tuttavia il documento aveva sortito qualche effetto limitato, bloccando indirettamente alcune vendite, proprio come quella di fucili [3] potenzialmente utilizzabili dai coloni o quella di bombe ad alto impatto distruttivo. Non appena salito al potere, Trump ha revocato l’ordine di Biden.

Intanto continua il genocidio a Gaza. Israele ha affermato che la strage dei 15 operatori sanitari, comprovata da video [4], è stata frutto di un semplice «malinteso operativo», aggravato da «carenze professionali», liquidando la vicenda con la scusa di un errore circostanziale. In totale, dall’escalation del 7 ottobre [5], l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 51.201 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo [6] della rivista scientifica The Lancet e da una lettera [7] di medici volontari nella Striscia. Dalla ripresa delle aggressioni [8] su larga scala del 18 marzo, invece, Israele ha ucciso almeno 1.844 persone.

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Dario Lucisano

Laureato con lode in Scienze Filosofiche presso l’Università di Milano, collabora come redattore per L’Indipendente dal 2024.