Il Tribunale di Pordenone ha rinviato alla Corte costituzionale il nuovo Codice della Strada, promosso dal ministro dei Trasporti Matteo Salvini, dopo il caso di una donna risultata positiva a oppiacei in seguito a un incidente. Ricoverata, la conducente – che ora rischia un decreto di condanna – aveva riferito di aver assunto codeina a scopo terapeutico nei giorni precedenti all’incidente e ansiolitici subito dopo. I giudici hanno sospeso il giudizio e rinviato la questione alla Consulta, ritenendo la norma potenzialmente incostituzionale: eliminando il requisito dell’alterazione psicofisica, la legge punirebbe infatti chiunque presenti tracce di sostanze, anche se non compromette la capacità di guida. Ora la Corte Costituzionale dovrà valutare se la disposizione rispetta i principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.
Il caso che ha acceso il faro sulla riforma si è verificato nella notte della vigilia di Natale del 2024, quando una donna, alla guida della propria auto, ha tamponato un’altra vettura. Condotta in ospedale per accertamenti, ha dichiarato di aver assunto, nei giorni precedenti, un farmaco contenente codeina – un oppiaceo – dietro regolare prescrizione, e «subito dopo» l’incidente alcune gocce di un ansiolitico. Gli esami del sangue hanno dato esito negativo, ma quelli delle urine sono risultati positivi agli oppiacei. Ed è qui che si inserisce il nodo giuridico: secondo la nuova normativa, introdotta [1] nel novembre 2024, basta infatti un test positivo per configurare una responsabilità penale, anche se non vi è stato alcun segno di alterazione psicofisica al momento del fatto. Il legislatore ha infatti eliminato ogni riferimento allo “stato di alterazione”, che nel vecchio impianto normativo era condizione imprescindibile per contestare la guida sotto effetto di droghe. Ora, invece, l’eventuale presenza di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope – anche a distanza di giorni – è sufficiente per far scattare sanzioni che possono arrivare fino a 6.000 euro di multa, un anno di arresto e due anni di sospensione della patente.
Una trasformazione che ha suscitato forte perplessità nella gip Granata, la quale ha accolto le osservazioni del pubblico ministero Enrico Pezzi e ha rimesso la questione alla Corte costituzionale. Il cortocircuito, ha spiegato la giudice, consiste nel fatto che il reato di guida sotto l’effetto di droghe si è trasformato da reato di pericolo concreto a reato di pericolo astratto, in cui non è più necessaria la prova che l’assunzione abbia inciso sulla capacità di condurre il veicolo. Le analisi delle urine, infatti, possono rilevare tracce anche settimane dopo l’assunzione, al contrario degli esami del sangue, che si negativizzano nel giro di 48-72 ore.
Il nuovo Codice della strada ha generato forti critiche [2], soprattutto per le potenziali implicazioni nei confronti dei pazienti che utilizzano cannabis terapeutica. La norma prevede infatti sanzioni severe per chi risulti positivo al test antidroga, che rileva la presenza di cannabinoidi nell’organismo senza distinguere chi è sotto effetto della sostanza da chi ha assunto una dose terapeutica giorni prima. Tracce di THC possono infatti persistere fino a tre giorni nel corpo, ben oltre la durata degli effetti psicotropi. Nelle scorse settimane, è stata sollevata [3] la questione di legittimità costituzionale – il caso è in mano al giudice di Pace di Udine – anche dalla difesa della 32enne friulana Elena Tuniz, la quale, dopo un improvviso malore alla guida e la successiva diagnosi di epilessia, si è trovata coinvolta in un procedimento penale e con la patente sospesa per un anno a causa di una «dubbia» positività al THC, principio psicotropo della cannabis. In una conferenza stampa alla Camera dei Deputati, L’associazione Meglio Legale, che ha preso in carico la difesa di Elena, ha parlato di «una storia che grida vendetta».