A Istanbul è iniziato il primo processo contro le persone che hanno partecipato alle proteste antigovernative in seguito all’arresto del sindaco Ekrem İmamoğlu, vietate dall’amministrazione centrale. İmamoğlu, considerato il principale rivale politico di Erdoğan, è stato arrestato lo scorso 19 marzo con accuse di corruzione, ma molti hanno interpretato la sua incriminazione come una mossa politica e hanno organizzato proteste di massa in tutto il Paese. Gli imputati, in totale 189, tra cui studenti, giornalisti e fotoreporter, sono accusati di partecipazione a una manifestazione non autorizzata, disobbedienza agli ordini della polizia e, in alcuni casi, porto d’armi e istigazione a delinquere. Le pene che potrebbero subire vanno dai sei mesi ai cinque anni di carcere. Ai quasi 200 imputati se ne aggiungeranno altre centinaia, che verranno giudicati in altri processi, così come annunciato dalla procura generale di Istanbul.
Il processo contro i 189 manifestanti è iniziato venerdì 18 aprile, giorno in cui si sono tenute le prime due udienze. La maggior parte degli imputati è composta da studenti, ma sono presenti anche due giornalisti e cinque fotogiornalisti, che stanno venendo considerati come manifestanti. Le accuse di cui devono rispondere sono tre: aver preso parte a una manifestazione non autorizzata e non aver rispettato l’ordine di disperdersi da parte della polizia; essersi coperti il volto per nascondere la propria identità e porto d’armi; e, infine, istigazione a delinquere. Le pene potenziali vanno dai sei mesi ai quattro anni per le prime due accuse, e fino a cinque anni per la terza. Secondo l’ONG Human Rights Watch, in quasi tutti i casi le accuse mancherebbero di prove concrete. «La natura affrettata e la portata imponente dei processi, in cui non vi sono prove di illeciti penali, dimostrano come le restrizioni imposte dalla Turchia al diritto di riunione siano arbitrarie e incompatibili con una società democratica basata sullo stato di diritto», scrive HRW. Anche gli avvocati hanno denunciato la natura politica del processo e hanno chiesto l’assoluzione degli imputati.
HRW ha visionato parte delle carte riguardanti i manifestanti accusati. Secondo l’ONG, dei 189 imputati alle udienze del 18 aprile, 62 sono accusati di porto d’armi o di aver nascosto il volto per non essere identificati durante la manifestazione. Tuttavia, scrive HRW, «l’unico elemento specifico fornito come prova nell’atto di accusa in merito al porto di armi è l’affermazione che un manifestante avesse una pietra in mano». Secondo quanto scrive HRW, «molte persone di tutte le età presenti alle proteste di massa si sarebbero coperte il volto per proteggersi dagli effetti dello spray al peperoncino e dei proiettili usati dalla polizia in diverse occasioni», e altrettante «potrebbero aver scelto di coprirsi il volto in considerazione delle restrizioni al diritto di protestare in Turchia negli ultimi anni». L’accusa di istigazione a delinquere, invece, riguarda 20 persone e sarebbe mossa sulla base di una serie di post sui social media. «Questi post consistono prevalentemente in inviti generalizzati a scendere in piazza e dichiarazioni contro il governo, e non inviti alla violenza o alla criminalità». Centosette, infine, sono accusati solo di aver partecipato a manifestazioni non autorizzate e di non aver risposto agli ordini di dispersione.
La procura generale di Istanbul ha annunciato che in totale verranno processate 819 persone nell’ambito di 20 indagini penali sulle proteste. In totale, dopo le proteste, sono state arrestate 1.879 persone, i tribunali di Istanbul hanno ordinato la detenzione preventiva per 278 presunti manifestanti, e imposto ad altri gli arresti domiciliari o il divieto di lasciare la città. Le proteste sono scoppiate dopo l’arresto di İmamoğlu dello scorso 19 marzo e hanno visto la partecipazione di decine di migliaia di persone in tutto il Paese. I manifestanti accusavano il governo di sfruttare la propria influenza sulla magistratura per mettere a tacere il dissenso nel Paese. Nel tentativo di arginare sul nascere ogni possibile mobilitazione, l’esecutivo turco ha vietato le manifestazioni, chiuso strade e metropolitane e limitato l’accesso ai social media.
İmamoğlu è stato eletto due volte sindaco di Istanbul, la prima nel 2019 e la seconda l’anno scorso. Con l’elezione del 2019, che si dovette ripetere per decisione di Erdoğan, İmamoğlu mise fine a circa 25 anni di governo dell’AKP, il partito del presidente. Con i suoi mandati da sindaco, ha acquisito grande notorietà, diventando gradualmente il principale politico dell’opposizione turca. Il raid in casa sua, che ha raggiunto uffici e abitazioni in tutto il Paese, fermando altre 100 persone, ha fatto seguito di soli due giorni alla decisione dell’Università di Istanbul di ritirare a İmamoğlu il diploma di laurea, requisito fondamentale per candidarsi alle elezioni. İmamoğlu, inoltre, è finito più volte al centro di vicende giudiziarie che l’opposizione giudica come tentativi di delegittimazione e di ostacolare una sua possibile candidatura.