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Negli allevamenti islandesi sono morti 1,2 milioni di salmoni in quattro mesi

Tra novembre 2024 e febbraio 2025, quasi 1,2 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti a rete aperta di Kaldvík, negli Eastfjords islandesi, trasformando un comparto in forte espansione in uno dei capitoli più neri dell’acquacoltura europea. L’Autorità islandese per la sicurezza alimentare e veterinaria (MAST) ha definito «gravi» le violazioni riscontrate e la polizia ha avviato un’inchiesta formale per negligenza, condizioni di trasporto estreme e acque di mare insufficientemente ossigenate. La portata del disastro ha scatenato un’ondata di indignazione e una battaglia legale storica per salvare il salmone selvatico dell’Atlantico del Nord.

La svolta è arrivata dopo le segnalazioni di operatori e attivisti, che hanno documentato reti stracolme e migliaia di cadaveri galleggianti. In pochi mesi, i tecnici di MAST hanno riscontrato sovraffollamento, mancanza di adeguate correnti d’acqua e gestione approssimativa dei trasporti: condizioni incompatibili con i parametri europei sul benessere animale. La polizia islandese ha quindi avviato un’indagine formale sulle presunte violazioni del benessere degli animali nell’allevamento di salmoni di Kaldvik a causa di presunte «gravi cattive manovre, difficili condizioni di trasporto e cattive condizioni dell’acqua del mare». Contestualmente, i proprietari dei fiumi islandesi, sostenuti dall’Icelandic Wildlife Fund e finanziati in parte dall’artista islandese Björk, hanno intentato una causa senza precedenti contro Arctic Sea Farm e le stesse autorità nazionali. L’obiettivo primario è quello di annullare le autorizzazioni per gli allevamenti a rete aperta nei fiordi di Patreksfjörður e Tálknafjörður, impedendo «l’ulteriore distruzione ambientale e la contaminazione genetica delle popolazioni di salmone selvatico islandesi».

La preoccupazione più grave riguarda le fughe di massa: migliaia di salmoni d’allevamento già nel 2023 erano finiti nei fiumi, mescolandosi con le popolazioni selvatiche. Gli incroci forzati minacciano di cancellare migliaia di anni di adattamento locale, aggravando [1] il declino del salmone atlantico del Nord, oggi al 25% dei livelli del 1970 a causa del cambiamento climatico e dell’acidificazione degli oceani. L’acquacoltura intensiva rischia così di trasformare specie preziose in semplici ibridi fragili. Il malcontento non è solo legale, ma anche sociale: un sondaggio [2] Gallup Islanda di settembre 2024 indica che il 65,4% degli islandesi è contrario all’allevamento in reti aperte e il 59,5% vorrebbe il suo completo divieto. Nell’ultimo anno, oltre quattro milioni di pesci hanno perso la vita negli impianti a rete aperta, 72 volte il totale dei salmoni selvatici del paese. Il dissenso è trasversale, coinvolgendo tutti i partiti e le fasce demografiche.

Nel frattempo, continua la forte pressione pubblica contro gli allevamenti di salmone in reti aperte: oltre 4mila cittadini da tutto il mondo (542 dall’Italia) hanno inviato e-mail di protesta ai ministri islandesi dell’Industria e dell’Ambiente, chiedendo leggi più rigorose. All’estero, casi simili hanno portato colossi come Mowi a pagare 1,3 milioni di dollari per pratiche di marketing ingannevoli e grandi rivenditori USA a rimuovere etichette fuorvianti sulla «sostenibilità». Il Parlamento islandese discuterà entro l’anno un disegno di legge sull’acquacoltura. Spinta dalla mobilitazione civile e dal sostegno di ONG come l’Icelandic Wildlife Fund, la nuova normativa dovrebbe introdurre standard più stringenti: limiti di densità di carico, monitoraggio continuo della qualità dell’acqua e, in prospettiva, il passaggio a impianti a terra o in sistemi chiusi.

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Stefano Baudino

Laureato in Mass Media e Politica, autore di dieci saggi su criminalità mafiosa e terrorismo. Interviene come esperto esterno in scuole e università con un modulo didattico sulla storia di Cosa nostra. Per L’Indipendente scrive di attualità, politica e mafia.