Al centro del Cairo, sulle acque del Nilo, sorge l’isola di Warraq, un’oasi naturale ricca di palme e aree verdi, dove vivono circa 100.000 abitanti da sempre dediti all’agricoltura, alla pesca e al commercio. Dal 2017, l’isola è diventata di interesse commerciale per gli Emirati Arabi Uniti che, attraverso l’azienda KSC Emirates, hanno firmato [1] con il governo egiziano accordi per 500 milioni di dollari destinati a progetti immobiliari che prevedono la costruzione di poli commerciali, alberghi e lussuosi appartamenti. Il governo egiziano ha dichiarato che l’isola diventerà la nuova “Manhattan del Nord Africa”. Tuttavia, il progetto prevede l’abbattimento di tutte le 6.000 abitazioni esistenti e lo sfollamento di migliaia di residenti.
Considerata dal governo Mubarak, nel 1998, come patrimonio naturale da preservare, l’isola di Warraq cambia status nel 2000, a seguito di una modifica alla legge sulle aree verdi che la classifica come terreno di pubblica utilità, dunque espropriabile qualora il governo lo ritenesse necessario. I cittadini insorgono e, dopo diverse battaglie legali, ottengono una vittoria contro lo Stato, dimostrando di essere i legittimi proprietari delle case e dei terreni presenti sull’isola.
Ma è con l’ascesa al potere del generale Al Sisi, nel 2013, che la crisi si acuisce. I primi scontri armati risalgono al 2017, dopo la firma degli accordi commerciali con Abu Dhabi, quando un decreto presidenziale intima ai residenti di abbandonare l’isola in cambio di risarcimenti prestabiliti. Tuttavia, le somme offerte sono giudicate del tutto insufficienti dagli abitanti, che rifiutano lo sfollamento.
In risposta, la polizia egiziana interviene con la forza, abbattendo [2]circa 700 abitazioni e arrestando numerosi manifestanti, contro i quali – secondo quanto riportato da Al Jazeera – sarebbero stati esplosi [3] anche colpi d’arma da fuoco. Dal 2018, le operazioni della polizia sull’isola si fanno sempre più intense e violente, con demolizioni [4] sistematiche delle abitazioni nel tentativo di costringere la popolazione ad accettare lo sgombero.
Dal 2020 al 2022, il governo egiziano tenta di riaprire il dialogo con gli abitanti dell’isola, proponendo tavoli di confronto che prevedono risarcimenti più elevati per chi accetta di abbandonare Warraq. Tuttavia, ad accettare sono solo mille abitanti. Nel frattempo, il Ministero degli Interni invia sull’isola un responsabile per lo sviluppo, l’ingegnere Osama Shuki, incaricato di organizzare incontri con la popolazione per illustrare [5]il progetto emiratino.

Gli abitanti dell’isola, nonostante i ripetuti tentativi del governo, continuano a opporsi al progetto, che giudicano dannoso e inutile. Negli ultimi mesi sono ripresi gli attacchi governativi, ma questa volta è intervenuto anche l’esercito, che ha accerchiato l’isola, interrompendo più volte le forniture di gas, acqua ed elettricità, e bloccando l’unico valico marittimo verso la terraferma.
«Non lasceremo le nostre case e le nostre terre», gridano i manifestanti asserragliati, mentre gli scontri, gli arresti e i morti continuano [6]senza sosta.
La violenza del regime egiziano non è certo una novità. Secondo il report [7]2025 di Human Rights Watch, il governo egiziano fa uso sistematico della repressione e della violenza contro giornalisti, attivisti e oppositori politici. Le sparizioni forzate e gli arresti arbitrari sarebbero all’ordine del giorno, così come i casi di “morte lenta [8]” nelle carceri: prigionieri ai quali vengono negate le cure mediche e che sono sottoposti a torture fino al decesso. In un altro report, Amnesty International [9]accusa le autorità egiziane di “silenziare” i detenuti che protestano contro le condizioni disumane di detenzione.
È di pochi giorni fa la pubblicazione, da parte della Commissione Europea, della lista dei Paesi considerati sicuri: tra questi figura anche l’Egitto, con grande soddisfazione del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ma più che un Paese sicuro, l’Egitto appare sempre più come un carcere a cielo aperto.