Prima la minaccia, poi i fatti: Esselunga ha avviato la cassa integrazione per oltre 200 dipendenti del magazzino di via Dione Cassio a Milano, addossando la responsabilità allo sciopero in corso indetto dalla Filt Cgil. Un conflitto che affonda le radici nelle condizioni di lavoro dei corrieri delle aziende fornitrici Brivio e Viganò, Deliverit e Cap Delivery. Mentre i fattorini protestano chiedendo migliori tutele e un’indennità di 10 euro giornalieri, il colosso della grande distribuzione preferisce mettere in cassa i propri dipendenti, accusando la protesta di aver «compromesso in modo significativo» il servizio di consegna online. Il sindacato, invece, denuncia la decisione come una precisa strategia aziendale per delegittimare la protesta.
L’avvio della cassa integrazione è stato comunicato dall’azienda in una nota ufficiale, parlando di «gravi disagi operativi» che avrebbero reso «inevitabile» il ricorso alla cassa integrazione «per evitare enormi sprechi alimentari». Una decisione che coinvolge oltre 200 lavoratori e che, secondo Esselunga, si è resa necessaria perché «la protesta messa in atto sta impedendo ai nostri dipendenti dei centri di distribuzione che preparano le spese poi affidate ai trasportatori per le consegne, di svolgere il proprio lavoro». Ma dietro quella che Esselunga presenta come una dolorosa scelta gestionale, si consuma uno scontro ben più ampio. La Filt Cgil denuncia che si tratta di una «scelta grave e unilaterale» messa in atto per «dividere lavoratori e sindacati e scaricare sulle spalle di chi lavora le conseguenze dell’assenza di volontà negoziale». Per il sindacato, quella della grande distribuzione «è una mossa strumentale» che non farà altro che rafforzare «la mobilitazione e la solidarietà tra lavoratori e sindacati», mostrando all’opinione pubblica «il vero volto di un’azienda che antepone minacce e profitti al rispetto delle regole e dei diritti fondamentali».
Al centro della protesta, che va avanti ormai da settimane, c’è la richiesta dei fattorini – centinaia di autisti che ogni giorno effettuano circa 10mila consegne – di vedersi riconosciuta un’indennità per il lavoro di facchinaggio, attività che, denuncia la Filt Cgil, non sarebbe prevista dal loro contratto. I lavoratori chiedono dunque «10 euro giornalieri in più» a compensazione di carichi fisici spesso insostenibili: ogni autista gestisce infatti circa 35 quintali di merce per turno, talvolta raddoppiando i turni giornalieri. La situazione ha avuto uno snodo importante il 23 aprile, durante un incontro in Prefettura a Milano tra sindacati e aziende. Un tavolo che si è chiuso con un nulla di fatto. «Brivio & Viganò ha partecipato al tavolo con piena disponibilità al confronto e con un concreto spirito propositivo», ha fatto sapere l’azienda, spiegando che «nonostante la volontà di venire incontro alle istanze emerse nel dialogo con le organizzazioni sindacali, le proposte sono state respinte». Di tutt’altro tenore la versione della Filt Cgil: «Le aziende, dopo ore di discussione, se ne sono uscite con una proposta vergognosa, offrendo ai lavoratori un euro in più al giorno», ha denunciato Agostino Mazzola. «Credo che un’uscita del genere si commenti da sola».
Mazzola non ha risparmiato critiche alla strategia di Esselunga, accusandola di voler «delegittimare la protesta, quando il diritto di sciopero è garantito dalla Costituzione». Secondo il sindacalista, l’azienda cerca di «mettere in cassa integrazione i lavoratori diretti, cioè i magazzinieri, per fare in modo che vedano come nemici i lavoratori indiretti, ossia i fattorini delle aziende esterne che però lavorano con divise che riportano il logo Esselunga e guidano camion con il logo Esselunga». Nel suo comunicato ufficiale, Esselunga auspica infine «un ritorno ad un operato responsabile e a un confronto costruttivo tra tutte le parti coinvolte», ribadendo che la sua priorità «rimane sempre quella di garantire un servizio di qualità ai nostri clienti e un ambiente di lavoro stabile per i nostri dipendenti». Intanto, la protesta continua. E mentre Esselunga invoca «la tutela delle fasce fragili» come giustificazione della cassa integrazione, i sindacati denunciano che sono proprio i lavoratori a pagare il prezzo più alto di una vertenza che, almeno per ora, sembra ancora lontana dalla conclusione.