Al contrario di quanto si pensava in precedenza, i pianeti noti come “super-Terre” potrebbero esistere su orbite più ampie rispetto alle stime precedenti e ciò, di conseguenza, implica che tali mondi rocciosi siano molto più comuni di quanto si sospettasse: è quanto emerge dal lavoro condotto da un team internazionale di oltre 60 scienziati, i quali hanno dettagliato i loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science. Utilizzando il Korea Microlensing Telescope Network (KMTNet) e combinando i risultati con altre indagini e simulazioni teoriche, i ricercatori hanno scoperto che, potenzialmente, per ogni tre stelle potrebbe esistere almeno una super-Terra con un’orbita simile a quella di Giove, suggerendo quindi che mondi simili sono sparsi ovunque per il cosmo. «Siamo come paleontologi che ricostruiscono non solo la storia dell’universo in cui viviamo, ma anche i processi che lo governano», commentano i coautori, aggiungendo che lo studio ha anche permesso di suddividere gli esopianeti in due gruppi principali che gettano nuova luce sui processi di formazione planetaria.
Già da tempo gli astronomi sapevano che i pianeti di massa più piccola sono più numerosi di quelli giganti. Tuttavia, mancavano dettagli tutt’altro indifferenti che, a quanto pare, sono potenzialmente capaci di alterare radicalmente le teorie precedenti a riguardo. Fino ad oggi, infatti, la maggior parte degli esopianeti scoperti orbitava vicino alla propria stella, poiché individuare corpi più lontani risultava difficile. Tuttavia, grazie a una particolare tecnica chiamata “microlensing” – ovvero un fenomeno in cui la gravità di un oggetto in primo piano devia la luce di una stella più distante, creando un picco di luminosità – i ricercatori sono riusciti a superare questa difficoltà. Si sono affidati alle osservazioni del Korea Microlensing Telescope Network – con telescopi situati in Sudafrica, Cile e Australia – che ha permesso di osservare centinaia di milioni di stelle, comportando un aumento delle possibilità di trovare eventi di microlensing considerati “rari ma preziosi”. Combinando poi le anomalie luminose osservate con dati raccolti su scala ampia, i ricercatori sono riusciti a identificare un nuovo schema nella distribuzione dei pianeti.
In particolare, il team ha individuato due gruppi principali di esopianeti: da una parte le super-Terre e i pianeti simili a Nettuno, dall’altra i giganti gassosi come Giove e Saturno: «Sebbene gli scienziati sapessero già che esistevano più pianeti piccoli rispetto a quelli grandi, ora abbiamo dimostrato che esistono eccessi e deficit all’interno di questo schema generale», spiegano i coautori, aggiungendo che i risultati, confrontati con simulazioni teoriche sulla formazione dei pianeti, indicano che i meccanismi di origine potrebbero variare. Tuttavia, rimangono ancora alcuni interrogativi: «La teoria dominante sulla formazione dei giganti gassosi è quella dell’accrescimento incontrollato di gas, ma altri sostengono che potrebbe trattarsi sia di accrescimento che di instabilità gravitazionale», ha spiegato Andrew Gould, coautore dello studio e professore emerito di astronomia alla Ohio State University. Per distinguere tra le due ipotesi, quindi, saranno necessarie grandi quantità di dati a lungo termine e, in questo contesto, gli eventi di microlensing potrebbero rappresentare una svolta, secondo gli esperti.