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Il telescopio Webb ha scovato una galassia che sfida la comprensione dell’Universo primordiale

Il telescopio spaziale James Webb ha stupito per l’ennesima volta la comunità scientifica con una scoperta che, come spesso accade grazie all’utilizzo di tale strumento, sfida le teorie che molti esperti consideravano consolidate: ha permesso la scoperta di una galassia distante osservata appena 330 milioni di anni dopo il Big Bang che ha mostrato una brillante radiazione di idrogeno in un’epoca in cui si pensava che tali segnali fossero completamente bloccati. A rivelarlo è il lavoro di un team di ricercatori guidato da Joris Witstok dell’Università di Cambridge dettagliato in un recente studio scientifico sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. «Questo risultato è stato totalmente inaspettato dalle teorie sulla formazione delle galassie primordiali e ha colto di sorpresa gli astronomi», commentano i coautori, aggiungendo che ulteriori osservazioni verranno effettuate per ottenere maggiori informazioni sulla natura della galassia e sull’origine della sua intensa radiazione.

Il telescopio James Webb della NASA, dell’ESA e della CSA è stato lanciato con obiettivi tutt’altro che indifferenti, tra cui quello di esplorare la cosiddetta “alba cosmica”. Si tratta dell’epoca in cui si formarono le prime galassie dopo il Big Bang e che, secondo la teoria, caratterizzava un Universo avvolto da una densa nebbia di idrogeno neutro che assorbiva la luce ultravioletta. Tra le radiazioni assorbite e, secondo la teoria, impossibili da rilevare, vi era anche la Lyman-alfa, ovvero la luce emessa dagli atomi di idrogeno quando gli elettroni cambiano livello di energia. Si tratta di una delle tante radiazioni che sarebbero state bloccate dalla nebbia di idrogeno e che non sarebbero state visibili fino a circa un miliardo di anni dopo il Big Bang, quando il processo di reionizzazione l’avrebbe dissipata. Tuttavia, grazie all’utilizzo di NIRCam – una fotocamera nel vicino infrarosso capace di misurare la luminosità in diversi filtri – e NIRSpec – uno spettrografo che permette di analizzare la luce in dettaglio – i ricercatori hanno trovato un controesempio che potrebbe potenzialmente rivoluzionare la nostra concezione dell’Universo primordiale.

In particolare, analizzando [1] il cosiddetto “redshift” – che fornisce una misura della distanza di un oggetto cosmico: più è alto il valore, più antica è l’immagine che osserviamo – è stata individuata JADES-GS-z13-1, galassia risalente ad un’epoca in cui l’Universo aveva solo 330 milioni di anni con una forte emissione di Lyman-alfa, che si pensava impossibile da rilevare. «La conferma della radiazione Lyman-α da questa galassia ha grandi implicazioni per la nostra comprensione dell’Universo primordiale. Non avremmo dovuto trovare una galassia come questa, data la nostra comprensione di come si è evoluto l’Universo. Potremmo pensare all’Universo primordiale come avvolto da una fitta nebbia che renderebbe estremamente difficile individuare anche i fari più potenti che vi si affacciano, eppure qui vediamo il fascio di luce di questa galassia perforare il velo», concludono [2] gli autori.

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Roberto Demaio

Laureato alla facoltà di Matematica pura ed applicata dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Autore del libro-inchiesta Covid. Diamo i numeri?. Per L’Indipendente si occupa principalmente di scienza, ambiente e tecnologia.