domenica 24 Novembre 2024

Come si producono le arance in Calabria 14 anni dopo la rivolta di Rosarno?

La Piana di Gioia Tauro, in Calabria, è la protagonista del nostro racconto di oggi, che intende offrire un focus sulla storica produzione agricola di piccoli centri calabresi come Rosarno, Taurianova, San Ferdinando, noti alle cronache nazionali dell’ultimo decennio anche per vicende di cronaca nera come quella del 7 Gennaio 2010 in cui si verificò la cosiddetta Rivolta di Rosarno, che scosse le coscienze di molti italiani. Questa vicenda ci darà l’opportunità di diventare dei consumatori più consapevoli e attenti. Innanzitutto un po’ di storia per inquadrare davvero a fondo il fenomeno.

Un po’ di storia

Gli agrumi hanno accompagnato la storia dell’uomo. La loro coltivazione, infatti, ebbe inizio in Asia orientale già intorno al 2400 a.C. Nel corso del tempo gli agrumi si diffusero dal luogo di origine ad altre regioni orientali e da qui seguirono il cammino della civiltà, unendo idealmente l’Oriente e l’Occidente. Gli arabi conobbero, presumibilmente, l’arancio amaro e il limone in India e da lì lo trasportarono prima nella penisola arabica e, parallelamente, alla loro espansione militare e culturale, nell’Africa settentrionale, in Spagna ed in Sicilia intorno al X secolo. Alcuni secoli dopo, quando iniziarono le grandi scoperte, furono i genovesi e i portoghesi che nel 1400 diffusero l’arancio dolce in Europa: Spagna, Liguria, Calabria e Sicilia. In Calabria l’agrume più tipico e simbolico è il bergamotto, in quanto essa produce il 90% dei bergamotti del mondo: non a caso viene chiamato l’oro verde della Calabria. Ma ovviamente la Calabria è anche la più grande produttrice italiana di mandarini e clementine. Nicola Parisi iniziò la coltivazione intensiva del bergamotto nel 1750, lungo la costa della provincia di Reggio Calabria, che rimane ancora oggi la maggiore produttrice del frutto. Nel 2001 il bergamotto calabrese ha ottenuto il marchio DOP (denominazione di origine protetta) dalla UE. La produzione di agrumi in Calabria e in tutto il Sud Italia è dunque un’attività economica ed agricola che è presente sin dal 1700. Tutto è andato bene fino agli anni 2005-2010 circa, quando sono successi dei fatti che hanno modificato in peggio – e che proseguono fino ad oggi – l’attività economica legata a queste produzioni. 

La rivolta di Rosarno

[La tendopoli di San Ferdinando.]
Da più di 30 anni Rosarno non è più a Merichicchia (in dialetto significa la piccola America). Così un tempo era soprannominata questa cittadina calabrese, tanto era ricca. Ricchezza che ne ha fatto luogo di immigrazione, prima di italiani che si trasferirono in Calabria perché là c’era lavoro, anche dal ricco nord, poi dal Maghreb, dalla Polonia e, in tempi più recenti, dall’Africa Sub-Sahariana e dai paesi dell’Est Europa. 

Rosarno è il centro più importante della Piana di Gioia Tauro, nel Sud della Calabria, un territorio da decenni dominato da agrumi e olive. Dai primi anni Novanta del 1900, nella raccolta sono impiegati in misura crescente lavoratori migranti. Le loro condizioni di vita e di lavoro sono difficili, con salari molto bassi o a cottimo. Le uniche “abitazioni” disponibili sono vecchie ex-fabbriche ai margini del paese o casolari abbandonati nelle campagne. E, spesso, questi lavoratori subiscono aggressioni violente e razziste. Nel pomeriggio del 7 gennaio 2010, due braccianti di origine africana al ritorno dai campi vengono feriti con colpi di arma da fuoco.

All’aggressione i migranti reagiscono uscendo dalle fabbriche abbandonate e scaricando la propria rabbia nelle strade, contro automobili e cassonetti. Segue una contro-reazione di una parte della popolazione locale: due giorni di pestaggi e “caccia al nero”. Intervengono forze dell’ordine ed esercito. Il bilancio è di decine di feriti, tra mille e duemila lavoratori vengono trasferiti o fuggono in altre città italiane. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, attribuisce la causa degli scontri all’eccessiva tolleranza dell’immigrazione irregolare.

Quegli eventi drammatici, passati alla storia come la rivolta di Rosarno, hanno avuto degli effetti importanti. In primo luogo, hanno fatto crescere in maniera decisiva la consapevolezza dell’opinione pubblica italiana ed europea in merito alle condizioni di lavoro nelle quali è prodotto il cibo che finisce nei supermercati e sulle tavole di tutto il continente; non solo a Rosarno, ma in molte aree di agricoltura intensiva in Italia – da Foggia a Salerno, da Campobello di Mazara a Saluzzo – e, allargando lo sguardo, in altri Paesi dell’Europa mediterranea. In particolare, diventano oggetto di inchieste e dibattiti il caporalato e i “ghetti”, le baraccopoli informali nelle quali i braccianti, specie di origine africana, trovano un precario riparo nei loro spostamenti per inseguire la domanda di manodopera in agricoltura e in Europa. “Mai più Rosarno” andarono a dire ministri e deputati italiani ed europei, ed è iniziata la stagione infinita delle tendopoli e dei campi container, realizzati con fiumi di denaro pubblico e subito dopo abbandonati a se stessi: veri e propri ghetti di stato!

In secondo luogo, la rivolta di Rosarno, assieme allo sciopero messo in atto ancora da braccianti africani in un altro centro rurale del Mezzogiorno, Nardò, nel Salento, solo un anno e mezzo dopo, nell’agosto 2011, ha spinto singoli e organizzazioni a impegnarsi in favore dei lavoratori agricoli migranti, talvolta insieme a essi. Associazioni, sindacati, ONG, organizzazioni religiose, gruppi del consumo critico: i progetti di intervento sociale, economico, sindacale, politico di questi ultimi anni non si contano. E questo è senz’altro un risvolto positivo.

In terzo luogo, quegli eventi – e l’impegno di individui e organizzazioni – hanno sollecitato le istituzioni locali e i governi nazionali a intervenire sulla questione. Due leggi nazionali, (agosto 2011 e novembre 2016) introducono e modificano l’articolo 603 bis del Codice penale, ridefinendo le norme sul contrasto al caporalato e allo sfruttamento del lavoro. A partire da queste norme, sono un’ottantina le inchieste e i processi in corso in tutta Italia, non solo al Sud e non solo in agricoltura. Vengono firmati protocolli e istituiti tavoli, da ultimo il Tavolo nazionale anticaporalato presso il ministero del Lavoro, attivo da gennaio 2019. Le regioni sono intervenute soprattutto per sgomberare ghetti e allestire tendopoli e altre tipologie di centri di “accoglienza” per braccianti, dalla Piana di Gioia Tauro al foggiano, dalla Basilicata al Piemonte.

Eppure, per molti aspetti le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti migranti sono rimaste immutate. Nel settembre 2019 è stato diffuso un report delle Nazioni Unite – frutto della visita in Italia degli ispettori ONU sulle forme contemporanee di schiavitù – che rileva che “i diritti dei lavoratori sono spesso violati ed essi possono essere esposti a severo sfruttamento o schiavitù” e chiede allo Stato italiano di fare attenzione alla “continue sfide nell’assicurare condizioni di vita e di lavoro decenti ai lavoratori migranti nel settore”.

La situazione oggi in Calabria: risorse senza controllo

[Rosarno, migranti impegnati nella raccolta degli agrumi.]
Secondo un rapporto recente del Ministero del Lavoro sarebbero 500 mila i braccianti agricoli stranieri presenti nel nostro Paese, quelli che girano l’Italia per raccogliere pomodori, olive e arance. E vivono in condizioni poco dignitose dentro delle baraccopoli. Per tale motivo è stato previsto dal PNRR uno stanziamento di 200 milioni di euro al fine di risanare una situazione così deleteria. Il Ministero del Lavoro è incaricato di censire i ghetti dove vivono tutti questi braccianti e il numero esatto di essi. In base a questi censimenti verranno poi dati i contributi europei. 

Su 200 milioni ben 114 sono finiti in Puglia e dalle inchieste giornalistiche della trasmissione Report del 2023 è emerso che difficilmente le amministrazioni e i comuni locali riusciranno a realizzare i progetti richiesti dal PNRR per poter ricevere i fondi. I rimanenti 89 milioni di euro sono stati attribuiti alle altre regioni italiane ma qui la situazione appare ancora peggiore di quella della Puglia, con dichiarazioni palesemente false da parte di alcuni comuni, sprechi su sprechi e anche presentazione di progetti che erano stati già finanziati in passato.

In Calabria il comune che riceverà più soldi per il superamento degli insediamenti abusivi è quello di San Ferdinando (4 milioni e 729 mila euro) per 250 persone dichiarate che vivono nella tendopoli del paese. Si sono spostate qui dopo lo smantellamento della baraccopoli di Rosarno. Ma la tendopoli è comunque un vero e proprio ghetto, come denunciano tutti gli osservatori e organizzazioni umanitarie, con condizioni igieniche e di salute molto precarie. Le tende sono state apposte dal Ministero dell’Interno e sono il simbolo del ghetto di Stato.

Per superare questo insediamento abusivo sono stati stanziati già 15 milioni di euro dei fondi europei Supreme, gestiti dalla Regione Calabria per la costruzione di un eco-villaggio che a oggi è solo previsto nel comune limitrofo di Gioia Tauro. Quindi, due finanziamenti diversi per il superamento della stessa tendopoli. In attesa della realizzazione di questo ecovillaggio, il comune di San Ferdinando ha deciso di richiedere ugualmente i fondi del PNRR realizzando delle condizioni migliori per gli abitanti della tendopoli, in particolare con l’allaccio alla rete elettrica di tutta la tendopoli, di modo che chi ci vive dentro possa almeno avere la possibilità di riscaldarsi, nonostante le condizioni di degrado. Inoltre il sindaco di San Ferdinando intende restaurare anche alcuni immobili abbandonati, per destinarli ai migranti più stabili che sono nel territorio già da alcuni anni. Quest’ultimo progetto di riparazione degli immobili prenderà come modello quello realizzato da una piccola cooperativa agricola locale che produce arance, SOS Rosarno, assieme alla Chiesa Valdese locale. Questi ultimi hanno costruito La Casa della Dignità, un immobile ricavato da un ex albergo abbandonato, con 6 appartamenti e 18 immigrati, i quali pagano 90 euro al mese di affitto per vivere in condizioni dignitose e integrarsi perfettamente nel territorio. In passato però altri fondi europei erano arrivati nella Piana di Gioia Tauro e sono stati clamorosamente sprecati o spesi per opere mai portate a realizzazione definitiva.  

Gli esempi virtuosi da far conoscere

Il progetto La Casa della Dignità messo in opera da SOS Rosarno è molto significativo e ci offre spunti di riflessione interessanti: una piccola quota della vendita delle arance raccolta dalla cooperativa SOS Rosarno finanzia gli appartamenti della Casa della Dignità. Le arance le vendono a Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) che comprano sapendo che sono raccolte da braccianti a cui sono riconosciuti sia i diritti dei lavoratori, sia che vivano in una situazione dignitosa. Tra l’altro gli agrumi costano la metà rispetto al supermercato.

Anche il comune di Taurianova in provincia di Reggio Calabria ha già ricevuto finanziamenti dai fondi europei Supreme per la creazione di insediamenti abitativi per i migranti e sta costruendo dei moduli abitativi per i braccianti stagionali. Inoltre, per i migranti che lo richiedono, il comune ha fatto degli accordi con i proprietari di abitazioni del centro storico da dare in affitto ai lavoratori, pagando in anticipo la metà del canone di affitto annuale. L’altra metà la pagheranno i lavoratori. Questi stranieri hanno finalmente la possibilità di integrarsi appieno nel centro abitativo, a contatto con gli abitanti locali, vivendo dignitosamente in una casa con tutti i servizi piuttosto che in una tendopoli con pessime condizioni igienico-sanitarie. Con i nuovi fondi europei del PNRR che arriveranno a breve, il sindaco di Taurianova ha previsto l’acquisto di vecchi immobili abbandonati da anni da abitanti del posto, la restaurazione e poi l’affitto partecipato con la stessa formula di pagamento della metà dei canoni annuali da parte del comune stesso. 

Paradossalmente il comune della Calabria che prende meno fondi europei è proprio quello di Rosarno. Il PNRR gli ha assegnato 2 milioni e 145 mila euro. Rosarno è stato il simbolo dei ghetti e dei braccianti africani, che oggi vivono in containers e sono più di 200. E pensare che a Rosarno, dopo la rivolta del 2010, furono stanziati milioni di euro per il superamento del ghetto. Furono costruite con i Fondi P. I.S.U. delle palazzine destinati ai migranti, costate 3 milioni e 80 mila euro, ma le palazzine non le hanno mai assegnate e non sono mai state abitate fino ad ora. 

Ora, l’idea degli amministratori locali è quella di utilizzare i nuovi fondi del PNRR per renderle finalmente agibili. Inoltre esiste a Rosarno anche un insediamento abitativo chiamato Villaggio della Solidarietà, mai assegnato ai migranti, che è stato prima vandalizzato e poi nuovamente ristrutturato. Questo villaggio sarà finalmente destinato ai migranti stagionali, che però dovranno essere in regola con il permesso di soggiorno e avere un contratto di lavoro. Questo significa che serve un’azione di contrasto delle istituzioni al Caporalato e al lavoro nero, altrimenti tutto continuerà a essere solo un progetto sulla carta e uno spreco di risorse nella pratica. 

In Calabria, in sintesi, negli ultimi 13 anni sono piovuti decine e decine di milioni di euro per risolvere l’emergenza abitativa dei migranti ma non hanno risolto nulla, solo sprechi. Ora arriveranno altre decine di milioni dai fondi del PNRR. Il comune che ha usufruito del più importante finanziamento è quello di San Ferdinando che ha ottenuto 4 milioni e 729 mila euro. Questi soldi dovevano essere destinati per dare una sistemazione stabile ai migranti, invece verranno impiegati per portare la corrente ad una tendopoli, che è diventata di fatto un nuovo ghetto formato da coloro che erano scappati dalla baraccopoli di Rosarno, il vecchio ghetto di Stato di cui abbiamo parlato. Ma non sono mancati esempi virtuosi, come abbiamo documentato, e tante iniziative di vera solidarietà e accoglienza da parte di gruppi, cooperative e associazioni locali. Se non altro però, da oggi, quando acquistiamo arance e clementine di Calabria, tutti noi sapremo dare un valore più grande a questi preziosi frutti che sono il simbolo di una lotta di emancipazione, diritti e dignità sociale che va avanti tra l’Africa e l’Italia sin dai primi anni 90 del secolo scorso. 

[di Gianpaolo Usai]

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