sabato 23 Novembre 2024

Un rapporto svela la deforestazione dell’Amazzonia ecuadoriana

Più del 30% dell’attuale superficie totale dell’Ecuador è stata impattata dall’attività umana, e gran parte di questa perdita è avvenuta a spese della foresta amazzonica, questo il riassunto di un lungo rapporto prodotto dalle ONG ambientaliste ecuadoriane EcoCiencia e MapBiomas Ecuador insieme ad altri ricercatori indipendenti. La ricerca registra anche la riduzione dei ghiacciai e i cambiamenti della copertura del suolo innescati dall’espansione di attività capitalistiche come l’agricoltura, la silvicoltura e l’estrazione mineraria e petrolifera che hanno interessato il Paese dalla costa alle Ande. I ricercatori hanno analizzato e confrontato le immagini satellitari scattate tra il 1985 e il 2022, constatando che l’Ecuador ha perso 1,16 milioni di ettari di copertura naturale del suolo durante questo periodo. Per comprendere l’ordine di grandezza, si tratta di un’area grande un po’ più dell’intera regione Abruzzo, una superficie molto grande per un Paese come l’Ecuador, che è più piccolo dell’Italia.

Nell’Amazzonia ecuadoriana, l’attività mineraria – soprattutto l’estrazione dell’oro – si è espansa ad un ritmo allarmante negli ultimi anni, ma è l’agricoltura che ha realmente guidato la deforestazione della foresta pluviale. Piantagioni intensive e monocolture hanno invaso infatti fette importanti di foresta, ma sono anche i colonos, coloro che arrivano dalle città per lavoro a insediarsi nelle zone amazzoniche a contribuire alla deforestazione.

Il rapporto ha analizzato cinque biomi – le isole Galápagos, l’Amazzonia, le Ande, la foresta pluviale tropicale del Pacifico costiero e le foreste secche equatoriali – per vedere dove la copertura vegetale naturale è cambiata e perché. Secondo le conclusioni dei ricercatori, i cambiamenti in Amazzonia stanno avvenendo più velocemente in questi ultimi anni rispetto al resto del paese. L’aspetto più sorprendente è la rapida crescita dell’attività mineraria, sia legale che illegale, che – come ne avevamo già documentato su L’Indipendente (in un articolo intitolato “In Ecuador la corsa all’oro minaccia l’esistenza di 1500 comunità indigene“), mette a rischio la sopravvivenza di molte comunità che vivono di foresta, oltre che migliaia di specie di piante ed animali in una delle aree più ricche di biodiversità del pianeta.

In parte l’espansione del settore è dovuta alla creazione di due miniere su larga scala, El Mirador e Fruta del Norte, entrambe aperte ufficialmente nel 2019 nelle province amazzoniche meridionali di Zamora Chinchipe e Morona Santiago, provocando conseguenze devastanti su tutta l’area circostante. Ma non sono le uniche: solo nel 2021, l’area mineraria totale del Paese si è ampliata di 1.405 ettari , pari a più di 2.600 campi da calcio. Gli ultimi tre governi dell’Ecuador hanno infatti promosso l’espansione del settore minerario, relativamente giovane, mentre l’economia petrolifera è in crisi. Il settore minerario rappresenta attualmente circa l’1% del PIL e il presidente Daniel Noboa, insediatosi lo scorso novembre, ha continuato a promuoverne l’espansione, promettendo di creare occupazione incentivando gli investimenti nazionali e internazionali.

Andres Tapia, direttore delle comunicazioni della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Amazzonia ecuadoriana (CONFENIAE), ha dichiarato che l’intensificazione dell’attività mineraria nella foresta pluviale negli ultimi anni ha esercitato una forte pressione sulle popolazioni indigene che vivono in queste aree. Negli ultimi decenni, le comunità indigene ecuadoriane hanno già dovuto imparare a proteggersi dall’estrazione petrolifera che ha devastato intere aree e continua a inquinare l’acqua, l’aria e la terra dell’Amazzonia orientale. Tapia ha detto che diverse comunità sono già state sfollate a causa di attività minerarie, sia legali che illegali. Ad esempio, la comunità di San Marcos nella provincia di Zamora Chinchipe, è stata sfrattata nel 2015 per far posto alla miniera di rame El Mirador. Nella provincia amazzonica centrale di Napo, i minatori illegali hanno distrutto i letti dei fiumi Jatunyacu e Napo, prosciugando i corsi d’acqua e riversando sostanze contaminanti nelle acque alla ricerca di oro. Questo ha costretto le comunità a spostarsi più lontano per pescare o addirittura a trasferirsi nelle città vicine. «L’estrazione mineraria, in particolare, diventa un problema del tutto irreversibile per le comunità», poche gocce di mercurio – per esempio – utilizzate per catturare e dividere l’oro dalle sabbie dei fiume inquinano interi corsi d’acqua, togliendo alle comunità circostanti la possibilità di sostentarsi e sopravviere in autonomia.

Anche l’agricoltura si è impossessata di ampie zone della foresta pluviale, causando la deforestazione. Secondo i dati di EcoCiencia e MapBiomas, dal 1985 l’area totale adibita a pascolo e agricoltura nel Paese è cresciuta di 1 milione di ettari, e il 46% di questa espansione si è verificata in Amazzonia. In molti casi, si tratta di appezzamenti su piccola scala per l’agricoltura di sussistenza, ma anche di piantagioni più grandi di palma da olio e legno di balsa, in particolare nelle province amazzoniche settentrionali di Orellana e Sucumbíos.

Secondo la ricerca, tuttavia, la minaccia più grande per l’Amazzonia è la costruzione di strade, che permettono alle attività agricole e minerarie di espandersi più in profondità nella giungla. L’Ecuador ha sottoscritto una serie di accordi internazionali per fermare il cambiamento climatico e la deforestazione, tra cui la Dichiarazione di New York sulle foreste e la Convenzione sulla diversità biologica. Inoltre, nell’ambito degli impegni assunti con l’Accordo di Parigi del 2015, l’Ecuador punta a ridurre del 4% le emissioni di gas serra derivanti dai cambiamenti di destinazione d’uso dei terreni. Ma, ha detto Borja, analista di EcoCiencia a Mongobay: “la mappa mostra che queste politiche non si stanno trasformando in realtà”. Secondo i ricercatori, la protezione del restante 66% dell’area del Paese ancora coperta da vegetazione naturale dovrebbe essere la priorità dei politici, in collaborazione con le comunità locali.

La politica fino ad oggi ha favorito lo sfruttamento della foresta. Inoltre, nonostante l’Ecuador sia uno “stato plurinazionale”, le nazionalità indigene non hanno un vero diritto sulla loro terra; il sottosuolo per esempio – dove si trova il petrolio – appartiene sempre allo Stato. Quel medesimo Stato che sotto i governi che si sono alternati dal 1985 ad oggi ha sistematicamente aiutato il processo di privatizzazione, deforestazione e sfruttamento dell’Amazzonia in nome del progresso economico. Un progresso che tuttavia non prende in considerazione le conseguenze sociali, ambientali ed ecologiche della perdita del polmone verde del pianeta. «Quando si osservano i dati, li si confronta negli anni, e si vede la velocità con cui si sono verificati i cambiamenti e l’accelerazione della deforestazione – ha detto Tobes – ci si rende conto che, se continua così, tra pochi anni rimarrà ben poco dell’Amazzonia in Ecuador».

[di Monica Cillerai]

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1 commento

  1. Così da incompetente direi che se tornasse l’amore per i mobili in legno naturale, le foreste verrebbero coltivate invece che distrutte e se gli alberi abbattuti servissero a fare mobili, sarebbero cassaforti per la Co2, quindi perché i governi invece di cretini finanziamenti per le auto elettriche non finanziano gi acquisti di mobili di legno?
    Forse perché gli fà comodo la crisi climatica?

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