giovedì 19 Dicembre 2024

Gli USA a fianco del massacro di Gaza: nuove armi e protezione all’ONU per Israele

Nonostante l’amministrazione statunitense abbia sollecitato più volte il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a tutelare i civili palestinesi e il presidente Joe Biden abbia addirittura dichiarato recentemente che «la risposta di Israele a Gaza è stata esagerata», gli USA continuano di fatto a sostenere pienamente Israele sia in sede ONU sia attraverso nuovi aiuti bellici. Proprio ieri, l’ambasciatrice americana presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha avvertito che, se la risoluzione per un cessate il fuoco umanitario a Gaza proposta dall’Algeria dovesse essere votata questa settimana al Consiglio di sicurezza così come è stata redatta, gli Stati Uniti non l’approverebbero esercitando il loro diritto di veto. L’ambasciatrice ha spiegato che gli Stati Uniti starebbero lavorando a un accordo tra Israele e Hamas che prevederebbe il rilascio degli ostaggi e una pausa nei combattimenti per almeno sei settimane. «Crediamo che questo accordo rappresenti la migliore opportunità per riunire tutti gli ostaggi alle loro famiglie e consentire una pausa prolungata nei combattimenti […] La risoluzione presentata dal Consiglio di Sicurezza, al contrario, non raggiungerebbe questi risultati», ha affermato. Si tratta di un avvertimento che arriva dopo l’approvazione da parte del Senato americano di un nuovo pacchetto di aiuti da più di 95 miliardi di dollari che include fondi per Israele, insieme a risorse per l’Ucraina, Taiwan e aiuti umanitari per la Striscia di Gaza.

Il nuovo pacchetto è stato votato martedì al Senato e dovrà ora ottenere la maggioranza della Camera per essere approvato in via definitiva. Cosa non scontata considerati i contrasti tra Democratici e Repubblicani per quanto riguarda gli aiuti all’Ucraina: alla Camera i repubblicani hanno una maggioranza di sei voti e diversi di loro sono contrari al nuovo invio di armi a Kiev. Per quanto riguarda gli aiuti a Israele, invece, c’è maggiore unanimità al Congresso: il Wall Street Journal ha rivelato che l’amministrazione americana prevede di inviare armi allo Stato ebraico per un importo stimato di decine di milioni di dollari, nonostante gli USA stessi insistano per un cessate il fuoco temporaneo a Gaza. Le forniture comprenderebbero circa un migliaio di bombe MK.82, sistemi KMU-572 per la precisione delle bombe stesse ed altro. Il piano è tuttavia ancora in fase di revisione interna e potrebbe cambiare prima di essere inviato in Commissione al Congresso per la definitiva approvazione. La comunicazione di Washington appare, dunque, nettamente in contrasto con le sue decisioni operative: mentre infatti Biden critica pubblicamente Netanyahu, nei fatti continua a fare pressioni sul Congresso per inviare armi e munizioni a Israele: secondo Bloomberg, Washington alla fine di ottobre ha consegnato a Tel Aviv 36.000 proiettili per i cannoni da 30 mm, 1.800 munizioni per i lanciarazzi M141 e almeno 3.500 dispositivi per la visione notturna.

Considerata la discrasia tra parole e fatti, dunque, quella della Casa Bianca sembra una strategia di comunicazione elettorale in vista delle presidenziali di novembre, tesa a “tranquillizzare” quella parte dell’elettorato democratico critico nei confronti della campagna militare israeliana. Un’azione di facciata, dunque, resa necessaria anche dal crollo dei consensi verso Biden: un recente sondaggio del New York Times, infatti, ha evidenziato un crescente disaccordo tra gli elettori democratici e le politiche di Joe Biden, riguardo al conflitto tra Israele e Hamas. Su circa 1000 intervistati, il 57% critica la gestione del conflitto da parte dell’amministrazione USA, mentre solo un 33% la supporta. Sorprendentemente, il 46% considera Trump più affidabile per risolvere la situazione in Medio Oriente, contro il 38% che predilige Biden.

Nei fatti, gli USA continuano ad inviare armi e a porre il veto all’ONU sulle risoluzioni che chiedono un cessate il fuoco: già ad ottobre – e successivamente a dicembre – Washington aveva bocciato tali risoluzioni e l’ambasciatrice Thomas-Greenfield aveva giustificato la decisione dicendo che erano in corso trattative diplomatiche portate avanti dagli Stati Uniti. Tuttavia, dopo quattro mesi, il lavoro diplomatico millantato dagli USA non ha sortito alcun risultato concreto per quanto riguarda l’interruzione dei combattimenti. Al contrario, la campagna bellica israeliana prosegue con sempre maggiore intensità: le forze israeliane hanno continuato le operazioni di sgombero nella città meridionale di Khan Younis e nella zona centrale della Striscia di Gaza. Il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha dichiarato ieri che la Brigata Khan Younis di Hamas è stata “sconfitta e non funziona in alcun modo come entità militare”. Nella zona centrale dell’enclave, invece, gli aerei israeliani hanno condotto attacchi contro un quartier generale operativo del gruppo di resistenza palestinese e altri obiettivi a Nuseirat e Deir al Balah il 17 febbraio. Gallant ha detto che l’IDF continuerà le operazioni per smantellare i rimanenti sei battaglioni di Hamas nel centro della Striscia, mentre il ministro del Gabinetto di Guerra israeliano Benny Gantz ha dichiarato che le forze israeliane entreranno a Rafah all’inizio del Ramadan – ossia il 10 marzo – se Hamas non rilascerà i rimanenti ostaggi israeliani. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, il bilancio delle vittime palestinesi della guerra è salito a 28.340.

[di Giorgia Audiello]

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