mercoledì 18 Dicembre 2024

Gli USA hanno bocciato ancora una volta la risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza

Ben tredici membri del consiglio a favore, astensione di Gran Bretagna ma bocciatura USA: la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU che chiedeva l’immediato cessate il fuoco a Gaza è stata bloccata di nuovo a causa del veto posto dagli Stati Uniti, che hanno annunciato di aver elaborato una propria proposta che prevedrebbe invece un «sostegno temporaneo» e «appena possibile» al cessate il fuoco. Si conclude così la storia del progetto presentato dall’Algeria e già in discussione da settimane in quanto, secondo la Rappresentante Permanente per gli USA Linda Thomas Greenfield, la risoluzione araba «avrebbe influenzato negativamente i delicati negoziati in corso» tra Stati Uniti, Egitto, Israele e Qatar, che «rappresentano l’unica via per una pace duratura nella regione». L’attenzione si sposterà ora sullo stato della bozza di risoluzione americana che, già visionata da Reuters e dalla CNN, non sembra comunque essere all’altezza delle esigenze espresse dagli altri membri del consiglio di sicurezza.

«Procedere con una votazione oggi è stato un desiderio e irresponsabile, e quindi, anche se non possiamo sostenere una risoluzione che metterebbe a repentaglio negoziati delicati, non vediamo l’ora di impegnarci su un testo che crediamo affronterà così tante delle preoccupazioni che tutti condividiamo», ha commentato dopo la votazione Greenfield. Tuttavia, la proposta americana risulta ancora una bozza in aggiornamento che è stata fatta analizzare solo ad una manciata di testate giornalistiche. Nonostante il documento sembri stabilire che «nelle circostanze attuali una grande offensiva di terra su Rafah comporterebbe ulteriori danni ai civili e il loro ulteriore sfollamento, anche potenzialmente nei paesi vicini», un funzionario dell’amministrazione americana ha rivelato sotto anonimato che gli Stati Uniti intendono concedere più tempo per i negoziati ma che «non hanno intenzione di affrettarsi» al voto in quanto l’amministrazione «non crede che il Consiglio debba intraprendere un’azione urgente». Inoltre, un secondo alto funzionario anonimo ha rivelato che la bozza non suggerirebbe «nulla sulle dinamiche di una particolare relazione, sia con gli israeliani che con qualsiasi altro partner che abbiamo». Tuttavia, la risoluzione condannerebbe il trasferimento di coloni ebrei a Gaza e respingerebbe «qualsiasi azione che riduca il territorio di Gaza, su base temporanea o permanente, anche attraverso la creazione ufficiale o ufficiosa delle cosiddette zone cuscinetto, nonché la diffusa e sistematica demolizione di infrastrutture civili». Tutte proposte però che sembravano già incluse nella precedente risoluzione presentata dall’Algeria e respinta oggi.

L’episodio ricorda la risoluzione proposta dagli Emirati Arabi Uniti respinta a metà dicembre: anche in quel caso ben 13 Paesi su 15 avevano votato a favore, il Regno Unito si era astenuto e gli Stati Uniti avevano bloccato la decisione affermando che la risoluzione «contrastava la realtà» e che avrebbe potuto «piantare i semi per una futura guerra», suscitando la gratitudine espressa dal ministro degli Esteri israeliano. Negli ultimi mesi, il Consiglio di Sicurezza ha più volte cercato di far approvare delle risoluzioni sul conflitto Israele-Hamas, ma gli Usa si sono sempre opposti all’utilizzo dell’espressione «cessate il fuoco», affermando che essa non rispetti il diritto di Israele a difendersi. A metà novembre era passata una risoluzione per chiedere «pause e corridoi umanitari» nella Striscia, che aveva visto però l’astensione degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Russia.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente, la situazione a Gaza è sempre più critica: al 19 febbraio l’ospedale Nasser di Khan Younis continua ad essere assediato dai carri armati israeliani, nonostante i 10.000 sfollati (tra cui 300 del personale medico) al suo interno. Il numero di camion che entrano a Gaza rimane ben al di sotto dell’obiettivo dei 500 al giorno e sono state riscontrate notevoli difficoltà nel portare rifornimenti attraverso Rafah. Inoltre, dal 7 ottobre fino a 1,7 milioni di persone sono state sfollate nella Striscia di Gaza, di cui alcune più volte e almeno 28.775 palestinesi sono stati uccisi, di cui il 70% si ritiene siano donne e bambini.

[di Roberto Demaio]

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4 Commenti

  1. Un potenza che ha fondato la sua economia sulla produzione di armi e che ha generato una mentalità omicida, come soluzione ai conflitti, non credo possa avere interesse a soluzioni di pace duratura. Mi domando quando i sobillatori di stragi cominceranno a prendere atto e smetteranno di comprare armi per autodistruggersi.
    Hamas quando il 7 ottobre è entrato in Israele e ha fatto quello che tutti hanno già dimenticato, pensava che gli israeliani avrebbero risposto lanciando caramelle. Mi stupisco di queste manifestazioni, vorrei vedere se capitasse a casa loro, se
    sarebbero proprio così remissivi da non difendersi.

  2. Per lo meno in passato l’Onu utilizzava anche delle task force internazionali di intervento. Del resto si sa che nasce per poter gestire la conflittualità planetaria da parte delle superpotenze (Russia e Cina comprese), prova ne è l’assurdo “potere di veto” e la presenza dei membri permanenti. Ma fino a una ventina di anni fa era un’istituzione con un maggior potere contrattuale, rispetto ai paesi membri, sebbene già nella guerra nell’ex Jugoslavia avesse dimostrato la sua impotenza. Oggi il segretario generale viene irriso e accusato (se parla di genocidio, nuova parola-tabù) come qualunque piccolo leader di un paesello del terzo mondo. Pur con molti limiti e demagogia una volta si “ricorreva all’Onu”, e un minimo di fattori deterrenti esistevano, almeno sul piano politico, oggi le nuove generazioni rispondono: “Onu? Chi?”

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