La vicenda dei sindacalisti di Piacenza di SI Cobas e USB, indagati e relegati agli arresti domiciliari, è arrivata a un nuovo punto di svolta. Ieri, infatti, la Procura della città emiliana ha chiesto il processo per i sette leader sindacali operanti nel settore della logistica, confermando le accuse di associazione a delinquere che sono state loro mosse. A inviare la notifica degli atti sono stati il Pubblico Ministero Matteo Centini e la Procuratrice Grazia Pradella, che hanno mandato agli imputati l’avviso di conclusione indagini che prelude alla richiesta del processo. La vicenda rientra all’interno della maxi-inchiesta della squadra mobile di Piacenza che va avanti da quasi 6 anni, la quale riterrebbe di aver accertato l’esistenza di “associazioni a delinquere” che si arricchivano grazie alla creazione ad hoc di conflitti che permettevano di intascare “i proventi derivanti dalle sostanziose conciliazioni lavorative e dal tesseramento dei lavoratori”. Una decisione, quella di perpetrare le accuse, che pare andare contro l’opinione del Tribunale del Riesame di Bologna di settembre 2022, che legittimava la scarcerazione degli imputati, spiegando che “la contribuzione e l’attività di proselitismo sono previste e tutelate dall’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori”.
Con la notifica pervenuta ieri ai sette sindacalisti, gli indagati vengono avvisati della “conclusione delle indagini preliminari” sulla vicenda. Tra di essi c’è Roberto Montanari, uno dei dirigenti di USB che ha raccontato a L’Indipendente i dettagli delle accuse. Sulla testa dei sindacalisti pendono le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, interruzione di pubblico servizio, sabotaggio ed estorsione. Nello specifico, racconta Montanari, l’interpretazione della Procura vede nei leader di SI Cobas e USB una strumentalizzazione delle battaglie sindacali portata avanti con lo scopo di un arricchimento personale. Questo sfruttamento delle cause dei lavoratori, sarebbe stato portato avanti in due modi diversi: in primo luogo, mediante una forte «competizione tra le firme» e, successivamente, attraverso «forme di ricatto verso le multinazionali» interessate, tali da profilare il reato di estorsione.
Nello specifico, la presunta competizione tra SI Cobas e USB sarebbe stata portata avanti attraverso la «radicalità delle richieste» nei confronti dei datori di lavoro, che sarebbero così state utilizzate in maniera «organica» per accaparrarsi le firme dei lavoratori. Insomma, secondo la Procura, SI Cobas e USB avrebbero fatto a gara a chi la sparava più grossa avanzando alle grandi firme della logistica richieste di portata eccessiva per spingere gli operai a iscriversi al proprio sindacato, e queste richieste sarebbero risultate tanto sproporzionate da scadere nel reato di estorsione. È il caso, racconta Montanari della richiesta di «aumento di stipendio» e della fornitura di «buoni pasto» o ancora di garanzia che venisse «integrata la quota malattia». Sostanzialmente mettendo insieme queste due macro-accuse, le firme sindacali avrebbero attratto i lavoratori, spesso di origine straniera, attraverso pratiche considerate illecite, strumentalizzando le lotte con l’intento di “conquistare i magazzini” delle multinazionali della logistica per lucrare sulle entrate derivanti dalle tessere e dalle conciliazioni con i datori di lavoro.
Eppure, riferisce Montanari, sulle cause dei lavoratori non c’era bisogno di «gettare benzina sul fuoco»: quei bisogni erano già lì. Piacenza è negli anni diventato uno dei principali poli della logistica in Italia, con oltre 10.000 lavoratori del settore occupati con scarsi controlli e pochissimi diritti. Un sistema dominato da appalti e subappalti dove la precarietà è strutturale e il caporalato una realtà certificata. Dopo aver constatato il disinteresse dei sindacati confederali (CGIL, CISL e UIL) negli ultimi anni i lavoratori si sono auto-organizzati aderendo in massa a sindacati di base, proprio come USB e SI Cobas, e hanno cominciato a rivendicare più diritti attuando anche strategie di lotta radicale, quali picchetti, blocco delle merci e occupazioni. Queste, coordinate dagli unici sindacati che si sono presi a carico la lotta dei lavoratori di categoria, hanno portato all’arresto dei leader sindacali, avvenuto il 19 luglio 2019. Nonostante ciò, ad agosto dello stesso anno, sono crollate molte delle accuse a loro rivolte, tra cui quella di associazione a delinquere, ed è stata ordinata la loro scarcerazione; nonostante per alcuni reati – tra cui ad esempio l’interruzione di pubblico servizio – fosse rimasto in piedi il castello di accuse, alcuni dei sindacalisti sono infatti finiti agli arresti domiciliari in quanto l’impianto accusatorio venne rivalutato.
Le accuse sarebbero cadute anche perché, tra le altre cose, “il continuo rilancio del conflitto con i datori di lavoro è la vita delle organizzazioni sindacali”; è anche per questo che la scure della Procura di Piacenza viene definita dai sindacati di base come una «criminalizzazione delle lotte operaie». Secondo essi, infatti, a essere oggetto di accusa non erano solo le presunte pratiche illecite e le forme di protesta, ma la stessa attività sindacale di lotta: l’obiettivo fondamentale della Procura risulterebbe insomma quello di reprimere la legittimità della attività sindacale.
[di Dario Lucisano]
Davvero una immagine inquietante della magistratura che si configura sempre più come un’organizzazione (un’altra!) al servizio del potere.
Articolo davvero illuminante.
Malissimo!! Voi NON dovreste entrare nelle indagini della Magistratura nè dare la parola agli indagati considerato che NON AVETE gli strumenti per VERIFICARE, soprattutto per verificare se vi sono stati arricchimenti PERSONALI!!
Ma che sta dicendo?