Oggi, 24 marzo, è la Giornata internazionale per il diritto alla verità, ricorrenza annuale indetta dalle Nazioni Unite per ricordare coloro che hanno indagato sulle violazioni dei diritti umani e che sono stati fatti “sparire” – tipicamente, da anonimi sicari assoldati dall’autore delle violazioni. Il caso esemplare è quello di Monsignor Romero, il prelato di El Salvador assassinato da uno squadrone della morte il 24 Marzo 1980 per aver denunciato in chiesa e con la radio emittente della diocesi le violazioni di diritti umani che subivano le popolazioni salvadoregne.
In Italia, invece, andrebbero ricordati, in occasione della Giornata per il diritto alla verità, Giulio Regeni, il ricercatore universitario che indagava sul conflitto sindacale in Egitto e che è stato trovato morto e orribilmente torturato nei pressi di una prigione dei servizi segreti egiziani, e Mario Paciolla, il giornalista ed attivista che indagava sull’applicazione dell’accordo tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia e il governo di quel Paese e che è stato poi trovato “suicidato” in una camera d’albergo colombiana. I genitori di Giulio e di Mario cercano ancora di appurare la verità su quanto accaduto.
Andrebbero pure ricordati la giornalista RAI Ilaria Alpi e il suo cameraman Miran Hrovatin, assassinati da ignoti vicino a Mogadiscio. Lo scorso 20 marzo, anniversario delle uccisioni avvenute nel 1994, il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella li ha rievocati con queste parole: «Erano giornalisti di valore alla ricerca in Somalia di verifiche e riscontri su una pista che avrebbe potuto portare a svelare traffici ignobili» (armi e rifiuti tossici).
E che dire di Andrea (Andy) Rochelli, fotogiornalista italiano, ucciso nel Donbass nel 2014, molto prima dell’invasione russa dell’Ucraina? I suoi servizi facevano conoscere le devastazioni subite dalle popolazioni ucraine russofone del Donbass, provocate dagli artiglieri ucraini, in particolare da quelli filo-nazisti. Per questi suoi reportage, si è fatto schedare dai Servizi segreti ucraini con la dicitura “liquidatelo”. E, difatti, Rochelli e il suo interprete sono state uccisi dall’artiglieria ucraina – deliberatamente, secondo la testimonianza di un militare del reparto, ma non si è ancora riusciti ad appurare definitivamente la verità. Non solo, ma il caso viene sistematicamente dimenticato dai mass media – persino in Italia, il suo Paese natio – per non accreditare la versione russa dei fatti che hanno portato all’invasione del 2022, ovvero gli otto anni di massacri della popolazione ucraina russofona da parte dell’esercito ucraino (armato anche allora dall’Occidente).
Quindi è molto lunga la lista di italiani che sono stati fatti “sparire” perché indagavano su fatti scomodi per qualcuno e che andrebbero doverosamente ricordati in questa Giornata per il diritto alla verità. Basti pensare, ad esempio, a tutti i magistrati, giornalisti e testimoni di giustizia che hanno denunciato la mafia, pagando un caro prezzo. Tra i testimoni di giustizia andrebbe ricordata in particolare l’allora 17enne Rita Atria, la cui morte rimane ancora tutta da chiarire.
Sul piano internazionale, invece, la lista di chi ha pagato di persona per aver denunciato delle illegalità è davvero sterminata. Tuttavia, spicca, su tutti, il nome – oggi finalmente alla ribalta – di un giornalista australiano che ha indagato sul vero numero di civili uccisi dall’esercito occupante statunitense in Iraq (ha documentato più di 15.000 uccisioni, mai ammesse dal Pentagono) nonché sul vero numero di rinchiusi nella prigione USA di Guantanamo, molti dei quali torturati e poi fatti sparire dai registri ufficiali.
Questo giornalista investigativo si chiama Julian Assange; è da cinque anni rinchiuso nella prigione londinese di Belmarsh, dove, deperendo di giorno in giorno, sta subendo una “esecuzione al rallentatore” (a slow motion execution), per usare l’espressione del ex-ambasciatore britannico Craig Murray. E’ in attesa del verdetto dei giudici dell’Alta Corte britannica, che dovranno decidere se estradarlo negli Stati Uniti, dove l’attende un ergastolo sicuro, oppure se permettergli di appellarsi contro l’ordine di estradizione. La notifica del verdetto potrebbe avvenire tra qualche settimana ma anche tra qualche mese.
Perché ricordare Julian Assange in occasione della Giornata internazionale per il diritto alla verità? In fondo, non sembrano esserci misteri ancora da chiarire intorno a chi ha voluto e vuole la sua “esecuzione al rallentatore”. Sappiamo, cioè, chi sono tutti gli attori, i loro nomi e cognomi, dietro il tentativo di farlo “sparire”. Il problema è che non sappiamo chi ha voluto che questi attori agissero – proprio come nei casi, appena rievocati, degli italiani fatti sparire. Cioè, non sappiamo i veri mandanti.
Nel caso di Julian Assange, dunque, tutti gli attori sono ben conosciuti. Sappiamo, per esempio, che nel 2017 l’allora capo della CIA Mike Pompeo ha giurato vendetta contro Assange per aver rivelato le tecniche illecite (denominate Vault 7) usate dai servizi segreti statunitensi per spiarci persino dentro i nostri cellulari e televisori; insieme all’allora presidente Trump, Pompeo ha spinto il Dipartimento di Giustizia ad emettere la richiesta di estradizione di Assange per “spionaggio” e l’attuale Procuratore Generale, Merrick Garland, ha reiterato la richiesta. I vari segretari della Giustizia britannici (Gauke, Buckland, Raab, Lewis, Chalk) hanno cercato, poi, con ogni mezzo, di esaudire la richiesta statunitense. Tutto sembra chiarissimo, allora, sul piano degli attori.
Ma la decisione di “far sparire” Assange, attraverso una persecuzione giuridica raramente riscontrata, non è stato presa da queste persone in un vuoto. Sin dalla pubblicazione del video Collateral Murder, che mostrava l’uccisione di civili innocenti da parte dei militari statunitensi, c’è stata una crescente campagna nei mass media per screditare Assange e il suo sito WikiLeaks – qualcuno l’ha sicuramente orchestrata: le menzogne sono ovunque uguali in tutti i media mainstream! Ma chi? Non certo Mike Pompeo. Nell’aprile del 2010, quando Assange ha presentato Collateral Murder, Pompeo non era ancora eletto al parlamento statunitense, prima tappa della sua carriera.
In quello stesso anno, poi, qualcuno ha orchestrato un tentativo di incastrare Julian in Svezia con accuse di stupro ben pubblicizzate ma false e strumentali: chi? La grande giornalista investigativa Stefania Maurizi sta cercando di documentare gli intrallazzi tra i vari ministri di giustizia (svedese, inglese, statunitense) tramite il FOIA, Freedom of Information Act – ma chi ha escogitato il piano? Non lo sappiamo.
Nel 2017, c’è stato un cambio di regime in Ecuador, mentre Julian si era rifugiato presso l’ambasciata di quel Paese a Londra: l’ex presidente, Rafael Correa, aveva accolto Julian a braccia aperte mentre il nuovo presidente, Lenin Moreno, voluto dagli Stati Uniti, si è mostrato ostile; ha cambiato non solo l’ambasciatore ma anche gli addetti all’ambasciata, i quali hanno cominciato a praticare torture psicologiche su Assange. Poi, nel 2019 Moreno ha revocato l’asilo politico a Julian, consentendo il suo arresto, e – guarda caso – contemporaneamente ha ottenuto un prestito di oltre 10 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale. Dietro tutto ciò c’era sicuramente la mano della CIA ma non soltanto – non sarebbe bastato. Chi è il regista, allora?
I teorici dei complotti parlano dell’esistenza di un Deep State, di uno Stato nello Stato che detta la politica che poi i rami legislativo, esecutivo e giudiziario eseguono. Ma possiamo anche fare a meno del termine “Deep State”; non c’è bisogno di inventare figure occulte e misteriose; è sufficiente elencare i miliardari che finanziano i nostri politici e che si riuniscono, per decidere le iniziative da far mettere in pratica dai loro sponsorizzati, in consessi come il Gruppo Bilderberg, la Commissione trilaterale, il Consiglio di Relazioni estere e organismi simili. Ecco chi sono i veri “Poteri Forti”.
È dunque dentro questa compagine – che Maurizi chiama “il Potere Segreto” – che bisogna cercare i mandanti per la decisione di far “sparire”, costi quel che costi, Julian Assange e, con lui, il suo sito WikiLeaks. Farli sparire in quanto, come insegna Noam Chomsky, il potere ha bisogno di agire dietro le quinte, nel buio; perché se viene esposto alla luce, si erode.
Julian Assange ha voluto gettare luce sui veri meccanismi del potere – le menzogne usate per venderci le guerre e i sofismi usati per giustificare le sopraffazioni che subiamo. E l’ha fatto pur consapevole dei rischi che correva nel denunciare i Poteri Forti. Nella Giornata internazionale per il diritto alla verità, dunque, ripromettiamoci di attivarci per contrastare la decisione di eliminare Julian Assange, lottando per la sua liberazione, per il ripristino del suo sito WikiLeaks e, infine, per far venire alla luce la verità che si cela dietro i quindici anni della sua persecuzione giuridica e morale.
Scrisse Thoreau: “invece che amore, denaro o fama, datemi la verità.” E’ sicuramente un imperativo anche per Julian Assange e che dovremmo fare nostro.
[di Patrick Boylan]