giovedì 21 Novembre 2024

È morto Antonio Subranni, il carabiniere dei misteri

È morto, all’età di 91 anni, il generale Antonio Subranni. Una figura storica dell’Arma dei Carabinieri, anche solo per il fatto che, nel 1990, fu il primo a ricoprire l’incarico di comandante del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS), nato dalle ceneri del Nucleo speciale antiterrorismo del generale dalla Chiesa. Eppure, Subranni rientra a pieno titolo tra i personaggi della storia repubblicana su cui aleggiano più ombre, essendo stato protagonista diretto o indiretto di un vortice di episodi inquietanti che partono dai tempi dell’omicidio di Peppino Impastato e arrivano fino all’era della “Trattativa Stato-mafia”, passando per i retroscena della strage di via D’Amelio e dell’uccisione dell’infiltrato Luigi Ilardo. E che, per ricostruire i principali tasselli della storia recente del nostro Paese, non possono essere dimenticati, ma occorre anzi riallineare sulla base di una visione organica.

La “Trattativa”

Era il 23 maggio 1992 quando, a Capaci, Cosa Nostra eliminò Giovanni Falcone, sventrando un’intera autostrada in cui rimasero inghiottiti anche sua moglie e tre uomini della sua scorta. Solo una settimana dopo, uno degli uomini del ROS guidato da Subranni, l’ufficiale Giuseppe De Donno, incontrò Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino – ex sindaco mafioso di Palermo – chiedendogli di fare da tramite con il celebre padre per organizzare un incontro. Informato immediatamente Subranni, partì dunque la famosa “Trattativa Stato-mafia”, che vide De Donno, col vicecomandante del ROS Mario Mori, incontrare più volte “Don Vito”, messaggero dell’invito al dialogo pervenuto direttamente al capo di Cosa Nostra Totò Riina. Che, infatti, rispose con un “papello” di richieste in cambio della fine delle violenze. “Una trattativa indubbiamente vi fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un ‘do ut des’. L’iniziativa fu assunta dai rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”, ha sancito, nel 2012, il Tribunale di Firenze. Subranni, insieme ai vertici di Cosa Nostra, ai ROS Mario Mori e Giuseppe De Donno e all’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, finirà imputato per “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato”. Condannato all’ingente pena di 12 anni in primo grado, sarà assolto con gli altri uomini delle istituzioni in appello e, successivamente, in Cassazione.

La morte di Peppino Impastato

Eppure, le pesantissime ombre sulla biografia professionale del carabiniere compaiono già molti decenni prima. Precisamente, il 9 maggio 1978, quando a Cinisi, su mandato del boss Gaetano Badalamenti, venne ucciso il giornalista antimafia Peppino Impastato. All’epoca, infatti, fu proprio Subranni a svolgere le indagini sulla vicenda, in qualità di comandante del Reparto operativo del comando provinciale dell’Arma di Palermo. Nel 2012, Subranni venne iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento a Cosa Nostra per aver depistato quell’inchiesta, ma contemporaneamente, essendo passato troppo tempo dalla possibile consumazione del reato, fu richiesta per lui l’archiviazione per prescrizione. Secondo l’accusa, Subranni e i suoi uomini avrebbero imboccato, senza considerare la possibilità di ipotesi alternative, la pista di un attentato suicida o della morte accidentale di Impastato. Nel settembre 2018, il GIP di Palermo, Walter Turturici, archiviando il caso per prescrizione, ha messo nero su bianco che Subranni escluse “aprioristicamente, incomprensibilmente, ingiustificatamente e frettolosamente la pista mafiosa”, mettendo in atto “vistose, se non macroscopiche” anomalie investigative.

Le parole di Borsellino

Un angosciante episodio riguardante la figura di Subranni avvenne poi il 15 luglio 1992 a casa di Paolo Borsellino, solo quattro giorni prima della strage di via D’Amelio. Lo ha ricordato alcuni anni dopo, deponendo davanti ai magistrati, Agnese Piraino Leto, vedova di Paolo, con rivelazioni scottanti. «L’ho visto turbato (Paolo, Ndr) e gli ho detto: “Cosa c’hai? Hai pranzato oggi?”, perché non era venuto a pranzo… dice: “Ho visto la mafia in diretta e, fra tante cose, ho sentito e mi hanno riferito che il generale Subranni si è ‘punciuto’” (la “punciuta” è il nome del rituale per mezzo del quale ci si affilia a Cosa Nostra, Ndr). […] non so chi gliel’abbia detto, ma chi gliel’ha detto, gli ha fatto capire che vero era, e così me l’ha riferito… sempre sbalordito di quello che gli era stato raccontato… però, io non ho chiesto “chi te l’ha detto?”. Ma lui l’ha detto in maniera non serena… ma certa. […] Era turbatissimo, turbatissimo – ha concluso Agnese – e quando gliel’hanno detto, addirittura dice che ha avuto conati di vomito, perché per lui l’Arma e chi la compone, chi ne fa parte, era sacra e intoccabile».

Non si è mai potuti risalire alla fonte che avrebbe riferito queste inquietanti parole al giudice. In un’intervista al Corriere della Sera, nel 2012 Subranni si scagliò contro Agnese Borsellino, affermando che bisognasse prestare poca credibilità alle sue dichiarazioni, in quanto «non sta bene in salute. Forse un Alzheimer, non so quando cominciato». «Anche se soffro di una terribile malattia, non ho l’Alzheimer, come insinuato qualche giorno fa da un ex generale dei carabinieri», gli rispose a tono Agnese. Che sarebbe morta solo un anno dopo, nel 2013, stroncata da un tumore.

Il caso Ilardo

«Subranni è uno di quegli ufficiali di cui le dovrò parlare…». Queste parole furono proferite il 7 maggio 1996 da Luigi Ilardo – ex membro di Cosa Nostra divenuto infiltrato per conto dello Stato, che aveva appena deciso di “saltare il fosso” per diventare ufficialmente collaboratore di giustizia – in un colloquio con il colonnello Michele Riccio. Quest’ultimo, prima in servizio alla DIA e poi passato al ROS dei Carabinieri, aveva gestito virtuosamente l’attività di Ilardo come confidente, partita nel 1993, che aveva portato all’azzeramento dei vertici mafiosi della Sicilia orientale. Nel 1995, poi, l’infiltrato aveva addirittura condotto il ROS a un passo dal capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, che però non venne catturato dai carabinieri. Da tale vicenda sfociò un processo che vide alla sbarra gli ufficiali Mario Mori e Mauro Obinu, assolti “perché il fatto non costituisce reato”, sebbene i giudici abbiano attestato “zone d’ombra”, una “sottovalutazione dell’importanza dello spunto investigativo” e una “condotta negligente e poco solerte” da parte degli imputati. Ilardo, però, avrebbe voluto andare oltre, mettendo a verbale importanti rivelazioni sui collegamenti tra Cosa Nostra e servizi segreti, esponenti deviati delle istituzioni e personaggi di Forza Italia.

Dopo un incontro avvenuto tra Ilardo e i capi delle Procure di Palermo e Caltanissetta, il giudice Gian Carlo Caselli, allora Procuratore di Palermo, diede mandato a Riccio di registrare le parole di Ilardo da quel momento in avanti. A tale direttiva, racconta Riccio, si opposero il Procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, e lo stesso Subranni, che gli avrebbe detto: «Non registrare, è inutile». «Ho detto: no, io registro, io ho avuto questa direttiva e la faccio – aggiunge Riccio -. Mi incontro poi con Ilardo, e Ilardo, quando riferisco questa discussione, dice che avrebbe fatto delle dichiarazioni nei confronti del Generale Subranni». Non ne ebbe il tempo: il 10 maggio 1996 venne ucciso a colpi di pistola nei pressi della sua abitazione a Catania. Riccio racconterà in Aula che, incontrato Subranni subito dopo l’omicidio, l’ufficiale gli avrebbe detto irridendolo: «Povero Riccio, ti hanno ammazzato il confidente!».

Forza Italia

Lo stesso Michele Riccio fece riferimento in Aula alla presunta vicinanza di Subranni con i vertici di Forza Italia, partito con cui Silvio Berlusconi trionfò alle elezioni del 1994. A dare la notizia della morte dell’ufficiale dei Carabinieri è stato, due giorni fa, Maurizio Gasparri, senatore proprio di FI, di cui la figlia del generale appena deceduto, Danila Subranni, è capo ufficio stampa. Quest’ultima, il 2 giugno del 2023, era stata addirittura nominata da Silvio Berlusconi responsabile della propria comunicazione. «Per anni ha subito un ingiusto processo da parte della magistratura di Palermo, che si è concluso con una assoluzione forse arrivata troppo tardi – ha scritto Gasparri, riferendosi al processo “Trattativa”, ricordando Subranni –. E sono certo che anche il suo corpo ha subito le conseguenze di questa ingiusta aggressione giudiziaria».

Appare quantomeno curioso che tali parole arrivino da un importante esponente di un partito fondato, tra gli altri, da Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa a 7 anni di carcere, e Antonino D’Alì (che ricoprì addirittura la carica di Sottosegretario al Ministero dell’Interno), condannato definitivamente a 6 anni per il medesimo reato, considerato vicinissimo a Matteo Messina Denaro. Nonché, ovviamente, da Silvio Berlusconi, il quale – come “storicizzato” dalla sentenza Dell’Utri – da imprenditore finanziò la mafia dal 1974 almeno fino al 1992 e che, lo scorso 12 giugno, è morto quando il suo nome era ancora presente nel registro degli indagati dalla Procura di Firenze tra i mandanti occulti delle stragi del 1993.

[di Stefano Baudino]

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