Si parla un sacco di privacy e del sacrosanto diritto che questa sia tutelata e non svenduta, sotto forma di dati e informazioni di ogni tipo, alla prima azienda che passa. Riuscire a preservarla, soprattutto in ambito digitale, è sempre più complicato; ma anche solo camminando per strada i nostri dati biometrici sono a rischio, grazie all’uso (improprio) di telecamere del riconoscimento facciale. Una questione, quest’ultima, largamente sottovalutata, nonostante riguardi cittadini di tutto il mondo; ma che proprio per questo ha destato l’attenzione di una designer e ricercatrice italiana, Rachele Didero, che ha ideato, prototipato ed in seguito brevettato un tessuto in grado di schermare il riconoscimento facciale.
Dalla premessa alla nascita del tessuto Adversarial
I “dati” sono la più grande risorsa economica del nostro mondo. Le discussioni sull’importanza della protezione dall’uso improprio delle telecamere di riconoscimento biometrico si sprecano; nonostante ciò, il problema persiste tanto che, se trascurato potrebbe congelare svariati diritti dell’individuo, tra cui la libertà di espressione, di associazione e di libero movimento negli spazi pubblici. Moltissime le organizzazioni di tutto il mondo che hanno più volte segnalato come questa tecnologia possa essere imprecisa e discriminatoria (diversi studi hanno riportato come non ci saranno mai abbastanza dati per eliminare gli errori di questa tecnologia e il conseguente rischio di false identificazioni). Eppure questo tipo di telecamere (FRT) sono sempre più diffuse ovunque, ma la scarsa consapevolezza delle persone in merito a questo tema rende il tutto sottovalutato. L’immagine facciale, al pari di impronte digitali e DNA, sono dati biometrici per i quali ognuno dovrebbe essere in grado di dare esplicito consenso per il loro trattamento (cosa praticamente impossibile, perché dovrebbe succedere ogni volta che si mette piede in uno spazio sorvegliato con telecamere del riconoscimento facciale).
Questi i ragionamenti che hanno portato Rachele, nel 2019, durante uno scambio in quel di New York, a combinare moda e tecnologia per sviluppare un tessuto in grado di schermare il riconoscimento facciale e nello stesso tempo dare vita ad una collezione in grado di sensibilizzare le persone sul proprio diritto alla privacy. “Scegliere cosa indossare è il primo atto di comunicazione che compiamo, ogni giorno. Una scelta che può farsi veicolo dei nostri valori, diritti umani inclusi”. Dopo mesi e mesi di ricerca, in cui si sono fuse insieme competenze di scienza tessile, apprendimento automatico (machine learning) e studio dei volumi del corpo per la creazione di capi d’abbigliamento, è nato il tessuto adversarial con cui è stata disegnata e prototipata la prima collezione di Cap_able: la Manifesto Collection.
Come funziona
Un’immagine antagonista in grado di creare confusione ed ingannare le telecamere, disorientandole. Questa è la base delle adversarial patches, immagini progettate appositamente per ingannare i rilevatori di persone in tempo reale. Fino a poco tempo fa questi disegni potevano essere solo stampati. L’innovazione di Cap_able è stata quella di creare e brevettare un sistema in grado di tessere direttamente queste immagini sul tessuto, permettendo di incorporare l’algoritmo nella texture, garantendo una perfetta vestibilità dei capi senza perdere la loro efficacia e fondendosi perfettamente con i volumi del corpo. Indossando un capo in cui è tessuta un’immagine avversaria si proteggono i dati biometrici del viso, che non possono essere più rilevati o vengono associati a una categoria errata, ad esempio “animale” e non “persona”. Il tessuto, testato con YOLO, il più comune e veloce sistema di rilevamento di oggetti in tempo reale, ha provato che le persone con indosso capi Cap_able non sono state riconosciute dal software come tali, ma visualizzate come cani, zebre, giraffe o piccole persone in maglia.
La Manifesto Collection punta a cambiare il modo in cui le persone guardano i vestiti e gli accessori che indossano, portando il settore fashion ad un livello più consapevole e profondo. È questo il caso in cui la moda, incontrando la tecnologia e fondendosi con l’etica, dà vita a qualcosa di utile, non solo in termini pratici, ma anche comunicativi, portando le persone a far riflettere su un tema troppo spesso sottovalutato.
[Marina Savarese]
A Mari’, andare in giro con indumenti simili è come circolare con un bersaglio stampato sulla fronte. Della serie: so’ qua oh… beccame. Al di là della battuta (ti prego perdonami ma è uscita spontanea) credo che qualcosa di più organico della resilienza alla ‘datocrazia’ sarebbe opportuno. Come per esempio ‘disattivare’ qualsiasi strumento predisposto al furto dei dati ovunque sia e con qualsiasi condizione metereologica e a qualsiasi ora del giorno o della notte.