sabato 21 Dicembre 2024

Fermiamo il genocidio dei Kawahiva incontattati: l’appello di Survival

Da una parte ci sono indigeni che provano a sopravvivere e a resistere alle continue invasioni, dall’altra ci sono taglialegna, minatori e allevatori che da anni attaccano provocando morti e spazzando via intere tribù: è l’allarme lanciato da Survival, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni che mira alla loro autodeterminazione e alla protezione dei territori. L’appello è solo l’ultimo di una lunga serie che riguarda i Kawahiva: un piccolo gruppo di Indiani che vive nella foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana. Il loro territorio si trova in una delle aree con il più alto tasso di deforestazione illegale mai registrato e per questo, secondo Survival, «sono in grave pericolo» e «rischiano di essere sterminati» se la loro terra non sarà rapidamente riconosciuta e protetta dalle autorità locali.

I Kawahiva sono indigeni della foresta pluviale dell’Amazzonia brasiliana, localizzati principalmente nello stato del Mato Grosso. Non hanno contatti pacifici con l’esterno e potrebbero essere strettamente imparentati con una tribù vicina, chiamata Piripikura, per la lingua ed i costumi simili. Come denunciato da Survival, facevano parte di un gruppo più ampio che si è gradualmente suddiviso a seguito dell’invasione della zona. Secondo le informazioni disponibili, i Kawahiva coltivavano mais e manioca conducendo uno stile di vita stanziale ma, negli ultimi 30 anni, le invasioni e gli attacchi hanno causato una trasformazione tale da renderli nomadi e far si che l’ultimo orto rinvenuto nella loro area, appunto, risalga proprio a trent’anni fa. Sono noti per fermarsi per diversi giorni in accampamenti temporanei per poi spostarsi e sfuggire agli intrusi, cacciando al contempo animali selvatici come pecari, scimmie e uccelli e pescando nei corsi d’acqua che attraversano il loro territorio.

Il loro territorio nel Mato Grosso, noto come Rio Pardo, è caratterizzato da uno dei tassi di deforestazione illegale più alto mai registrato nell’Amazzonia brasiliana e, come denunciato da Survival, si trova all’interno della municipalità di Colniza, una delle aree più violente della nazione dove gran parte del reddito proverrebbe proprio dal disboscamento illegale. «La situazione dei Kawahiva è così grave che nel 2005 un pubblico ministero lanciò la prima indagine mai realizzata in Brasile sul genocidio di una tribù incontattata. Furono arrestate ventinove persone sospettate di essere coinvolte nell’uccisione dei Kawahiva – tra cui un ex governatore dello stato e un capo di polizia; ma poi furono rilasciate. Il caso è stato sospeso per mancanza di prove», continua l’organizzazione, la quale denuncia che le disposizioni di protezione emesse dal FUNAI – il Dipartimento brasiliano agli Affari Indigeni – vengono ripetutamente sfidate da anni. Survival aveva denunciato anche nel 2017 un piano che prevedeva l’arrivo di costruttori di strade, allevatori e coltivatori di soia proprio nel territorio occupato dagli ultimi Kawahiva avvisando poi che diversi funzionari del FUNAI sono sarebbero stati minacciati e impossibilitati a proteggere l’area a causa di una compagnia di taglialegna.

«I Kawahiva rischiano di scomparire per sempre; se i loro diritti territoriali non saranno rispettati, presto il genocidio sarà completo. Per garantire la sopravvivenza dei Kawahiva è fondamentale che il territorio del Rio Pardo venga mappato e ratificato ufficialmente dalla presidente del Brasile, in modo che sia riconosciuto in modo permanente come terra loro. Perché possano sopravvivere, il loro territorio, il Rio Pardo, deve essere mappato e protetto con estrema urgenza. Il decreto che autorizza la demarcazione di Rio Pardo aspetta sulla scrivania del Ministro della Giustizia brasiliano dal 2013, ma è in stallo a causa dell’opposizione congiunta di chi vuole continuare a saccheggiare il territorio. Nel frattempo, però, le invasioni illegali stanno aumentando drammaticamente. Tra il 2000 e il 2011 sono stati distrutti 4.319 ettari di foresta. I Kawahiva sono accerchiati, e lottano per la vita», conclude Survival.

[di Roberto Demaio]

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