giovedì 21 Novembre 2024

Biodiversità, la conservazione funziona: uno studio lo conferma

Un nuovo studio pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista Science ha confermato che le strategie di conservazione funzionano nel tutelare la biodiversità. L’analisi ha in particolare considerato 186 casi studio per valutare l’impatto degli interventi di conservazione a livello globale nell’ultimo secolo. Nello specifico, la ricerca ha evidenziato l’efficacia di varie strategie di conservazione, come il controllo delle specie invasive, il ripristino degli habitat e la creazione di aree protette, in diverse località geografiche e in differenti ecosistemi e sistemi politici. Le azioni di conservazione, è emerso, hanno migliorato o rallentato il declino delle specie in oltre due terzi dei casi analizzati. «Il nostro studio dimostra che quando le azioni di conservazione funzionano, funzionano davvero – ha dichiarato Jake Bicknell, coautore del lavoro e scienziato della conservazione presso l’Università del Kent nel Regno Unito – in altre parole, spesso portano a risultati per la biodiversità che non sono solo un po’ migliori rispetto al non fare nulla, ma molte volte superiori». Tra i casi in assoluto più virtuosi, figurano una gestione agricola che ha favorito nuove nidificazioni di un uccello acquatico, il trampoliere, e la creazione di aree protette e terre indigene che ha ridotto la deforestazione in Amazzonia.

Nonostante l’impatto complessivamente positivo della conservazione, lo studio ha anche rilevato che, nel 21% dei casi esaminati, la biodiversità è diminuita con gli sforzi di conservazione rispetto all’assenza di interventi. Al riguardo, i ricercatori hanno però sottolineato che le strategie di conservazione vengono talvolta apprese per tentativi ed errori e necessitano di continui miglioramenti e adattamenti. Non a caso, lo studio ha anche trovato una correlazione secondo cui, con il miglioramento delle strategie e delle tecniche, la conservazione è diventata sempre più efficace nel tempo. «Anche quando gli interventi di conservazione non hanno funzionato per la specie bersaglio, spesso altre specie ne hanno tratto involontariamente vantaggio, oppure abbiamo imparato dal risultato, assicurandoci che il nostro prossimo progetto o azione di conservazione avrebbe avuto successo», ha aggiunto la prima autrice dello studio, Penny Langhammer. In altre parole non si tratta mai di uno spreco di denaro. Eppure, i soldi spesi nelle azioni di conservazione sono ancora di molto inferiori ad altri investimenti tutt’altro che benefici, come quelli impattanti in combustibili fossili. Secondo alcune stime, un programma di conservazione a scala globale costerebbe tra i 178 e i 524 miliardi di dollari, nulla rispetto ai 7.000 miliardi di dollari spesi per i sussidi ai combustibili fossili nel solo 2022.

Nel complesso, le ragioni economiche per investire nella conservazione della natura, al di là di queste recenti conferme, sono comunque piuttosto decisive. Basti pensare, ad esempio, che più della metà del PIL mondiale, quasi 44.000 miliardi di dollari, dipende in misura moderata o elevata dalla natura. Questo perché per ogni dollaro che investiamo nella conservazione, ne riceviamo 100 in servizi ecosistemici, ovvero, tutto quell’insieme di benefici che l’umanità trae dalla natura. In sostanza, sebbene i vantaggi non siano immediatamente visibili, si tratta di un ottimo investimento, fondamentale per la salute degli ecosistemi, delle società umane e del pianeta. Ad oggi, tuttavia, secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), 44.000 specie sono classificate come a rischio di estinzione. Di queste, il 41% sono anfibi, il 26%  mammiferi e il 12% uccelli. Gli autori sperano pertanto che la loro ricerca serva ad informare gli obiettivi globali di biodiversità, nonché a dare una tirata di orecchie ai governi, ai privati e alle aziende affinché investano maggiormente nella conservazione. In tutto questo, non bisogna però dimenticare di affrontare a monte le cause della perdita di biodiversità, come il consumo e la produzione insostenibili.

[di Simone Valeri]

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