domenica 30 Giugno 2024

Le importazioni di gas dal Congo non stanno andando come ENI aveva promesso

Il tempo è galantuomo, ripeteva Voltaire. Dopo due anni è possibile tracciare un quadro di un fallimento già annunciato, nonostante la retorica impiegata ai tempi dal “governo dei migliori” e rilanciata a più riprese dalla compagine meloniana attraverso il fumoso Piano Mattei per l’Africa. Le cifre teorizzate nel 2022 nell’accordo che ha legato l’Italia al Congo per l’importazione di gas non hanno infatti retto la sfida con la realtà. A fronte di un miliardo di metri cubi previsti da ENI per l’inverno passato, lo Stato africano ha esportato verso Roma solo 150 milioni di metri cubi di gas naturale liquefatto (GNL), come riporta la piattaforma Kpler. Il colosso italiano dell’energia ha registrato ritardi nella fabbricazione degli impianti necessari, oltre ad avere un non trascurabile problema con il flaring, dunque la pratica che vede le compagnie energetiche lasciar bruciare il gas naturale al posto di catturarlo poiché si rivelerebbe troppo “oneroso”. Insomma, l’ennesimo strumento in mano ai ricchi che massimizza il profitto a spese dell’ambiente e della salute.

Tra i circa cento produttori di gas naturale figura anche la Repubblica del Congo, che sconta però l’assenza di un sistema efficiente per l’estrazione e l’esplorazione. Qui si inserisce l’ENI, che ha realizzato il progetto Congo LNG con grosse ambizioni, fino ad ora disattese. Al momento si registrano infatti soltanto due carichi via nave diretti verso l’Italia, di cui uno incompleto che dovrà essere integrato con del GNL targato USA. La prima fase del progetto si è dunque conclusa lontano dagli obiettivi prefissati; ENI non demorde e punta sulla seconda fase, che prevede la costruzione di un’ulteriore nave FLNG, in grado cioè di liquefare a bordo il gas naturale, con una capacità operativa circa sei volte superiore a quella della nave attualmente utilizzata. Anche qui però si registrano dei ritardi rispetto alla tabella di marcia. Come riporta Greenpeace, la costruzione della nave è stata affidata alla Cina, nello specifico alla società Wilson che, attraverso alcuni documenti, ha reso noto che la fabbricazione potrebbe protrarsi fino a giugno del 2026. Una bella batosta per la retorica dell’ENI e del governo (prima Draghi oggi Meloni), che puntavano ad avere dal Congo un import annuale di GNL pari a 4,5 miliardi di metri cubi a partire dal prossimo inverno.

Poco più di due anni fa si concludeva in Congo «una missione molto importante per il governo italiano» – per usare le parole dell’allora ministro degli Esteri Luigi di Maio. Un passo che avrebbe dovuto contribuire alla fine della dipendenza dal gas russo entro 18 mesi, almeno secondo le previsioni di Roberto Cingolani, che accompagnò Di Maio in Africa in qualità di ministro della Transizione ecologica. Obiettivo ancora oggi, a distanza di oltre due anni, mancato. Allo stesso modo non è stato rispettato l’intento della diversificazione degli approvvigionamenti, con l’Algeria che nei numeri ha praticamente rimpiazzato la Russia pre-guerra (coprendo circa il 41% dei consumi italiani), complice anche il flop in Congo. Due Paesi su cui l’Italia ha deciso di virare dopo le sanzioni economiche a Mosca, in un paradosso tutto tricolore: punire uno Stato autoritario per arricchirne altri.

Protagonista di repressioni violente del dissenso, accompagnate da arresti arbitrari e diritti limitati, l’Algeria è da tempo sotto i riflettori delle principali organizzazioni non governative dei diritti umani, tra cui Amnesty International che per lo scorso anno ha denunciato un peggioramento dello stato della democrazia nel Paese. La Repubblica del Congo si basa su una struttura autoritaria, con a capo il generale Denis Sassou Nguesso dal 1979, escludendo il periodo tra il 1992 e il 1997. Nguesso ha spinto su un certo culto della personalità, reprimendo libertà e diritti. Il Paese è al centro di diverse denunce da parte delle ong, che hanno documentato una serie di violazioni dei diritti umani commessi dalle forze di sicurezza congolesi da aprile a settembre del 2021. Durante questo periodo, almeno 179.000 cittadini della confinante Repubblica Democratica del Congo, tra cui molti rifugiati e richiedenti asilo, sono stati “rastrellati, arrestati arbitrariamente e costretti a lasciare la Repubblica del Congo”.

[di Salvatore Toscano]

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