domenica 30 Giugno 2024

In Italia un terzo dei detenuti è in carcere per violazione delle leggi sulle droghe

Nel nostro Paese sono tornati a salire gli ingressi in carcere per reati di droga: ben 10.697 delle 40.661 entrate nelle case circondariali italiane del 2023 sono infatti state causate dall’art. 73 del Testo Unico, ovvero «detenzione a fini di spaccio». Si tratta del 26,3% del totale (nel 2022 era il 26,1%). È quanto emerge dai dati pubblicati nella nuova edizione del Libro Bianco, un rapporto indipendente redatto da associazioni e sindacati sul modo in cui il Testo Unico sugli stupefacenti impatta sul sistema penale, sui servizi e sulla società. Il report rivela che, degli oltre 60 mila detenuti presenti in carcere nel periodo di riferimento, 12.946 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo Unico, mentre altri 6.575 lo erano per il combinato disposto tra art. 73 e l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope). Solo 994 erano in galera esclusivamente per l’art. 74. Complessivamente, si trova dietro le sbarre per la legge sulle droghe oltre il 34% dei detenuti, quasi il doppio della media europea (18%) e molto di più di quella globale (22%).

Nel rapporto si legge che “la simulazione di un carcere senza i prigionieri frutto della legge proibizionista sulle droghe rende evidente che non ci sarebbe sovraffollamento e il carcere potrebbe essere l’extrema ratio”, così come “scomparirebbe anche l’intasamento dei tribunali”. Il Libro Bianco spiega inoltre che un’ampia fetta delle persone che entrano in galera fa uso di droghe. Restano infatti elevatissimi i dati sugli ingressi e le presenze di detenuti che vengono definiti “tossicodipendenti”, che dopo la fase pandemica sono tornati ad aumentare: nello specifico, lo sono il 38,1% di coloro che sono entrati nei centri di detenzione, mentre all’ultimo giorno del 2023, dietro le sbarre, se ne contavano ben 17.405 “certificati”, circa il 29% del totale. “D’altro canto, continuano ad aumentare le misure alternative, ma senza svuotare le galere, che subiscono un costante aumento di ristretti, e continuiamo a registrare una distonia tra il generico affidamento in prova ai servizi sociali, cui si accede prevalentemente dalla libertà, e quello specifico per tossicodipendenti, che nella gran parte dei casi passa per un ‘assaggio’ di carcere”, scrivono ancora gli autori del documento. Esaminando i numeri si nota infatti che, oltre ai 60mila detenuti, al 31 dicembre del 2023 erano in carico per misure alternative e sanzioni di comunità (Messa alla Prova) “ulteriori 83.703 soggetti”. Il rapporto fa notare che le misure alternative hanno fatto registrare negli ultimi anni un enorme incremento, pari addirittura al +1.037,7% sul 2006.

All’interno di un paragrafo, il Libro Bianco si focalizza sul tema delle segnalazioni e delle sanzioni amministrative per il consumo di droghe illegali. Nel report si attesta come, dal 2020 in poi, il numero di persone segnalate rimarrebbe pressoché stabile, aggirandosi intorno alle 40mila unità. “Il 38% delle segnalazioni finisce con una sanzioni amministrativa, le più comuni la sospensione della patente (o il divieto di conseguirla) e del passaporto – si legge nel documento -. Questo anche in assenza di un qualsiasi comportamento pericoloso messo in atto dalla persona sanzionata”. Dal 1990, più di un milione di persone sono state segnalate per possesso di derivati della cannabis. Il rapporto dà inoltre atto di come la repressione per il consumo di droghe si stia abbattendo sui minori, che “entrano così in un percorso sanzionatorio stigmatizzante e alla fine dei conti desocializzante e controproducente”. Tra coloro che sono oggetto di segnalazione, il 97% lo è per cannabinoidi.

La Corte Europea dei diritti umani chiede al nostro Paese di mettere mano al dramma del sovraffollamento carcerario dall’estate del 2009, quando partorì la prima condanna ai danni dell’Italia a causa della violazione dell’art. 3, che proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante. Eppure, il governo Meloni ha fin da subito cercato di mostrare mediaticamente il suo “pugno di ferro” attraverso la costante creazione di nuove fattispecie di reato, come testimoniano le norme contenute nel “decreto Rave”, nei decreti immigrazione e nel “decreto Caivano”. Lo scorso novembre è stato poi varato dall’esecutivo il pacchetto sicurezza, in cui è stata prevista l’introduzione di nuovi reati nel codice penale e forti inasprimenti di pena. Fratelli d’Italia punta inoltre all’inasprimento delle pene per spaccio e detenzione di droga, anche nei casi di lieve entità: nell’aprile del 2023, la deputata Augusta Montaruli, condannata per peculato nel caso rimborsopoli, ha presentato una proposta di legge in cui si alza a 5 anni la pena massima per chi produce, traffica e detiene sostanze stupefacenti o psicotrope quando il fatto è “di lieve entità”.

[di Stefano Baudino]

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