martedì 3 Dicembre 2024

La Commissione parlamentare approva il carcere per chi protesta facendo blocchi stradali

È stato formalmente approvato ieri in Commissione Giustizia e in Commissione Affari Costituzionali della Camera l’art.11 del “Pacchetto Sicurezza”, Ddl varato a fine novembre dall’esecutivo, che introduce la pena del carcere da sei mesi a due anni per i blocchi stradali e ferroviari. La norma, infatti, colpirà chi “impedisce la libera circolazione su strada ordinaria o ferrata ostruendo la stessa con il proprio corpo, se il fatto è commesso da più persone riunite”. In caso di blocco stradale o ferroviario compiuto da una sola persona, la pena sarà invece quella della reclusione fino a un mese o di una multa fino a trecento euro. Il provvedimento rappresenta uno dei più emblematici tasselli della capillare azione repressiva del governo contro il dissenso pacifico. Infatti, sebbene sia stata ribattezzata “norma anti-Ultima Generazione” – nome del collettivo ambientalista divenuto noto per manifestazioni attuate con tale modalità -, questa legge colpirà tutti coloro che effettuano blocchi stradali, pratica di protesta storicamente diffusa e utilizzata nei più variegati ambiti.

Fino ad ora, tali condotte venivano inquadrate come semplici illeciti amministrativi, per i quali veniva comminata una sanzione da mille a quattromila euro. Se questa misura diventerà legge dello Stato, invece, vedrà la luce un vero e proprio reato penale con previsione di una pena detentiva, rispetto a cui peraltro non si contempla l’alternativa della pena pecuniaria. Infliggendo, dunque, un durissimo colpo al diritto dei cittadini a manifestare in maniera inoffensiva contro quelle che vengono reputate ingiustizie. Nello specifico, la norma anti blocco stradale è stata approvata in maniera molto fluida in Commissione. Tutti gli emendamenti delle opposizioni, infatti, sono stati respinti e ora il testo passerà al Parlamento, che lo vaglierà a fine luglio in quella che è la sua versione originale. Ma c’è di più. Infatti, in seguito a una riformulazione funzionale a mettere d’accordo tutte le anime della maggioranza, si appresta a ottenere presto il semaforo verde anche l’emendamento presentato dal leghista Igor Iezzi – divenuto celebre per aver preso parte all’aggressione contro il deputato M5S Leonardo Donno lo scorso 12 giugno – che prevede l’innalzamento delle pene per chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro le grandi opere infrastrutturali come il Ponte sullo Stretto o il Tav. Viene infatti inaugurata una aggravante ai reati di resistenza, violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o a un corpo dello Stato che produrrà un inasprimento fino a un terzo degli anni di galera, portando a una pena massima di venti anni di carcere (mentre nella prima formulazione del testo erano venticinque). È stata invece cestinata la proposta di modifica avanzata dalla Lega in cui si affermava che chi ostacola l’accesso ai cancelli delle fabbriche, mettendo in atto i cosiddetti “picchetti”, deve essere sempre considerato responsabile di violenza privata.

Il “Pacchetto sicurezza” è stato approvato lo scorso novembre dal governo Meloni. Nel testo è stata prevista l’introduzione di nuovi reati nel codice penale, insieme a forti inasprimenti di pena e maggiori garanzie per le forze dell’ordine. Oltre al nuovo reato contro i blocchi stradali, il provvedimento ha delineato tra le misure più salienti pene estremamente severe per chi pianifica o partecipa a rivolte all’interno delle carceri e nei Cpr, colpendo anche chi le aizza dall’esterno. Al contempo, sono state previste numerose tutele per i membri delle forze dell’ordine, con la più vigorosa repressione delle aggressioni ai loro danni e la possibilità di detenere armi private anche quando non sono in servizio. Un testo che si inserisce a pieno titolo in una scia normativa lapalissianamente indirizzata alla dura repressione e criminalizzazione di un ampio ventaglio di forme di dissenso.

[di Stefano Baudino]

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