martedì 5 Novembre 2024

Sardegna: il turismo naturalistico minacciato dalla speculazione energetica

A inizio luglio la giunta regionale sarda ha approvato una moratoria che blocca l’autorizzazione di nuovi impianti per l’estrazione di energia rinnovabile. Una decisione, seppur giudicata timida e poco risolutiva nei termini in cui è stata adottata, che rappresenta la prima vittoria di un vasto movimento nato e cresciuto negli ultimi mesi che si definisce «contro la speculazione energetica» e contro «l’assalto delle multinazionali» al territorio sardo. Un movimento che non si accontenta e chiede che siano fermati anche i progetti già approvati, che stanno riempiendo la Sardegna di impianti eolici e solari che serviranno non a generare energia per il territorio, ma a fare della regione un centro per l’esportazione di energia verso l’Italia continentale e l’estero. A scendere in campo nella protesta ora sono anche oltre 60 imprese e guide che si occupano di turismo sostenibile e naturalistico, che hanno inviato una lettera per spiegare le ragioni della loro protesta. Abbiamo deciso di pubblicarla integralmente, nella convinzione rappresenti un prezioso contributo per comprendere le ragioni di quella parte di Sardegna che si oppone alle pale e per capire come queste manifestazioni non siano affatto «per il petrolio» e contro l’ambiente come alcuni hanno scritto, ma in favore di una transizione ecologica diversa, al servizio dei cittadini prima e non degli interessi economici di pochi.

«Benvenute e benvenuti in Sardegna, la terra dal paesaggio elettrico». Rischia di essere questo lo slogan col quale accoglieremo i gruppi nelle prossime stagioni turistiche, almeno fino a quando esisteranno prossime stagioni, dato che con l’andare del tempo nessuno spenderà più i propri risparmi per vacanze senza paesaggio. Siamo guide e aziende turistiche del settore naturalistico e sportivo, alcune giovani e altre meno, spaventate dalle politiche che stanno trasformando il paesaggio della Sardegna e che causeranno la crisi del settore. Il nostro lavoro e guadagno dipende da una particolare categoria turistica, dalle persone interessate alla Sardegna per la bellezza della sua natura. Per così dire, noleggiamo paesaggi, con una ricaduta economica positiva sul territorio, dato che sul territorio mangiamo, dormiamo, visitiamo monumenti e musei, ci spostiamo con i vettori locali.

Fra noi c’è chi ha iniziato nei primi anni Duemila, lavorando più di vent’anni per fare della Sardegna una destinazione del turismo naturalistico di rilievo europeo, con promozione territoriale, collaborazione con Enti locali, lavoro in rete, investimenti in beni strumentali, destagionalizzazione.Tutto potrebbe finire, perché nessuno ama camminare o pedalare in mezzo alle pale eoliche, fare yoga tra i pannelli fotovoltaici o scattare foto su un orizzonte trafitto da una selva di enormi pali, visibili per chilometri.

La maggior parte di noi non ha mai preso un euro di contributo pubblico, abbiamo costruito una nuova economia in Sardegna soltanto con le nostre forze e i nostri risparmi, perché la Regione, pur con tutte le sue contraddizioni, sembrava marciare nella stessa direzione: Rete Cicloturistica della Sardegna, nuovi parchi come quelli di Gùturu Mannu e di Tepilora, Rete Escursionistica della Sardegna, bandi per la realizzazione di ippovie, Borsa internazionale del turismo attivo, convegni, corsi di formazione professionale per guide escursionistiche e cicloturistiche…

Vent’anni di lavoro che vogliono farci buttare nella spazzatura, per trasformare la Sardegna in una grande centrale elettrica al servizio di altre regioni, senza neanche prendersi il disturbo di offrirci posti di lavoro di operai e operaie, come almeno si degnavano di fare in passato nel settore minerario, petrolchimico e turistico. Anziché andare avanti vogliono farci tornare indietro, all’Ottocento, con la distruzione del territorio senza alcuna contropartita: a loro il nostro legname per farsi le loro ferrovie, a noi il nostro territorio desertificato dalle loro imprese.

Certamente bisogna fare la transizione energetica, ma questa è soltanto una parte della più vasta transizione ecologica, che per noi è pane quotidiano, dato che per esempio la mobilità sostenibile, in bicicletta e a piedi, è il nostro stesso lavoro. Transizione ecologica significa anche e soprattutto sostenibilità sociale, a cominciare dalle direttive europee per il coinvolgimento delle comunità nei processi decisionali e per i principi di prossimità e proporzionalità: l’energia si produce dove serve e se ne produce la quantità che serve. Del resto non si spiegherebbero i provvedimenti europei a sostegno dell’agricoltura e degli habitat naturali della Sardegna, se poi si volesse convertire tutto alla monocultura elettrica destinata all’esportazione, senza alcun beneficio per la popolazione locale, distrutta nei suoi legami con il territorio, come nelle peggiori tradizioni coloniali.

Lavoriamo fisicamente nella natura ogni giorno, la conosciamo molto più e molto meglio di chi si limita a citarla nelle proprie dichiarazioni prodotte col copia e incolla. Della natura conosciamo la sofferenza e della sua sofferenza patiamo le conseguenze, non soltanto nelle nostre vite personali ma anche nel nostro lavoro, quindi siamo favorevoli alla transizione energetica, da sempre, anche quando non andava di moda nei ministeri e negli assessorati. Per questo sappiamo bene come si fa: con i processi partecipativi e con le reti di comunità. Occorre finanziare e realizzare prima di tutto le reti di comunità, finché non ne esisterà almeno una per ogni paese della Sardegna. Dopo, forse, se non bastassero, si potrà pensare a qualche centrale, ma sempre nel rispetto del processo partecipativo.

In conclusione non prendiamo lezioni di transizione energetica ed ecologica dalla classe politica. Destra e sinistra hanno dimostrato di non potercene dare, piuttosto dovrebbero fare il lavoro per il quale sono profumatamente retribuite: comporre i diversi interessi sociali ed economici, affinché lo sviluppo di uno non vada a scapito di un altro. Nel rispetto dei principi che la stessa classe politica europea si è data, senza travisarli nell’applicazione concreta come il ceto politico italiano e sardo sta facendo. Ancora una volta siamo propositive e propositivi, pronte e pronti a fare la nostra parte: ci troveranno nelle strade e nelle campagne, per lavorare e per sostenere il nostro popolo che difende la Sardegna dall’assalto degli speculatori”.

[Sardegna, 24 luglio 2024]

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1 commento

  1. Una volta in più la Regione Sardegna dimostra di non avere una visione strategica riguardo al proprio territorio e di non saper mettere freno alla continua perdita di sovranità sul proprio territorio.

    Le proteste e i comitati costringano la classe politica sarda a fare il proprio lavoro: difendere gli interessi dei propri cittadini, tutelare il territorio dalla speculazione, sostenere uno sviluppo compatibile con l’identità sarda.
    In due parole: decolonizziamo la Sardegna.

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