sabato 23 Novembre 2024

Libia, il parlamento ferma le estrazioni di petrolio: la fine dell’occupazione è vicina?

Oltre l’80% della produzione petrolifera libica è fermo da alcuni giorni in seguito ad una decisione del governo di Osama Hammad. Una decisione che ha già concorso a produrre un innalzamento del prezzo del petrolio a livello globale del 3%. Si moltiplicano le voci di un ritorno al conflitto in Libia, eppure la vicenda potrebbe essere più semplice: il tempo del potere per le milizie di Tripoli sostenute dall’Occidente appare prossimo alla fine. Per un decennio in Europa si è coltivata la letteratura secondo cui noi stavamo risolvendo i problemi dei libici, facendo un’opera di mediazione tra due parti in conflitto. Ma la realtà sul campo era all’opposto. E con questa mossa di chiudere i pozzi il governo di Osama Hammad ha dimostrato al mondo che tutti gli accordi firmati negli ultimi anni con le autorità di Tripoli, sono carta straccia. Dai memorandum agli accordi bilaterali, ai contratti sul petrolio. E ormai per l’Eni e per l’Italia sembra davvero troppo tardi.

Ma collochiamo i principali attori nel contesto e ripercorriamo le recenti tappe. È noto come fino al 40% del petrolio libico venisse trafugato dalle milizie di Tripoli e venduto di contrabbando soprattutto a Italia e Turchia. Grazie a questo commercio, le milizie di Tripoli beneficiavano degli aiuti europei al fine non di fermare i migranti (fattore che è sempre stato un pretesto di facciata), ma per tenere in piedi la struttura militare necessaria per continuare il saccheggio del petrolio. Tutto questo era possibile grazie ad alcuni dispositivi ben congegnati. A Tripoli vigeva (e vige per ora) un controllo militare del territorio da parte di milizie ed esercito turco che sottrae la capitale al controllo del governo legittimo che ha sede a Bengasi.

Questo ha fatto sì che per anni diversi enti dello stato, tra cui il NOC (National Oil Corporation, ente di stato per la vendita del petrolio) e la Banca centrale libica fossero direttamente nelle mani delle milizie, tramite prestanome, ed avallassero pertanto questo saccheggio mosso dalla regia della NATO. A copertura di questo furto sono stati nominati tra il 2015 e il 2016 una serie di organi illegittimi, ossia non confermati dalla volontà popolare ma nominati in seguito a controversi accordi di potere in seno alla cosiddetta “comunità internazionale”. Tra questi organi, oltre ai vari governi di Tripoli, quello di Sarraj prima e quello di Dabaiba oggi, figura l’Alto Consiglio di Stato, organo consultivo riempito di estremisti islamici fedeli alla NATO, che già furono a capo della rivolta contro Gheddafi. Tutti questi organi non sono riconosciuti dal parlamento libico, eletto nel 2014 e da allora non più rinnovato per le ostruzioni di Tripoli e della Nato, determinate a non certificare una maggioranza popolare ancora più schiacciante contro i propri interessi.

Il trucco per l’opinione pubblica europea era servito: nominare organi inesistenti e insediarli a Tripoli per poi metterli in competizione con le autorità elette di Bengasi. I grandi media hanno aiutato il processo trasmettendo acriticamente l’idea che in Libia ci sia una guerra civile, uno scontro tra due parti, mentre in realtà si tratta di un’occupazione straniera della Tripolitania. Tuttavia questo meccanismo si regge su una piattaforma instabile che solo l’intervento militare della Turchia nel 2020 ha temporaneamente congelato. Nel 2019 infatti l’Esercito Nazionale Libico guidato da Khalifa Haftar aveva lanciato un”operazione militare per la liberazione di Tripoli, appunto fallita per l’intervento militare turco.

Da allora i metodi però sono cambiati. Una data da segnarsi è il 22 luglio 2022, quando Farhad Bengdara, già governatore della Banca centrale libica ai tempi di Gheddafi, viene nominato a capo dell’Ente nazionale del petrolio, succedendo a Mustafa Sanalla. Se quest’ultimo, pur denunciandolo, aveva di fatto per anni consentito il furto del petrolio ad opera delle milizie di Tripoli, il suo successore ha cambiato gioco. Il nuovo direttore ha concesso sempre più ampie porzioni di produzione petrolifera alle autorità di Bengasi. La quasi totalità del petrolio libico viene infatti estratto nella parte di Libia controllata dalle autorità di Bengasi, pari a quasi l’80% del territorio, in pratica l’intera Libia tranne la zona di Tripoli. Quindi la decisione di Sanalla non ha fatto altro che sancire che il petrolio sia estratto e imbarcato nei porti sotto controllo delle autorità di Bengasi, per esempio nella città di Brega.

Questo cambio di paradigma ha sottratto linfa alle milizie di Tripoli, che non hanno avuto più la possibilità di sostenersi con i proventi del petrolio di contrabbando, e ha concesso all’Esercito Nazionale Libico di disporre di nuovi mezzi per finanziarsi. Non solo, parte di questo petrolio è stato messo a disposizione delle campagne della compagnia paramilitare Wagner nel Sahel in cambio di nuovi armamenti e assistenza militare dalla Russia. L’operazione travaso, come la si potrebbe definire, nell’arco di 2 anni ha portato le milizie di Tripoli all’asciutto, provocando un innalzamento della rivalità interna e trasformando la Tripolitania in zona di conflitto tra bande fuori controllo.

Dall’altra parte, a Bengasi, il parlamento libico e il governo Hammad hanno provato senza sosta a portare il Paese alle elezioni, per ridare slancio al processo democratico e per sottomettere questi organi illegittimi di Tripoli alle autorità elette, smantellando così le milizie. Proprio lo scorso 25 giugno 2024 in Libia si sono “celebrati” 10 anni dalle ultime elezioni. Fallito questo nuovo tentativo di indire nuove elezioni, rimandate ormai dal dicembre 2021, il parlamento libico, la Casa dei Rappresentanti, con una storica seduta lo scorso 13 agosto a Bengasi, ha mandato al Paese e al mondo un segnale chiaro: ora ci riprendiamo la Libia.

In quella seduta è stata confermata la fiducia al governo di Osama Hammad e sono state arrogate alcune prerogative precedentemente concesse alle autorità di Tripoli nello spirito del dialogo tra le parti. Tradito quello spirito da parte di Tripoli, il portavoce del parlamento, Aguila Saleh, in quella seduta ha proclamato: «L’accordo di Ginevra deve essere riconsiderato per la fase preliminare, soprattutto perché non è stato incluso nella dichiarazione costituzionale, che è la base per tutte le autorità. Il Presidente della Casa dei Rappresentanti (d’ora in avanti) sarà il comandante supremo dell’esercito, come indicato nella dichiarazione costituzionale».

Che tradotto significa: tutti gli accordi fatti con Tripoli dal 2020 a oggi sono stati una perdita di tempo. Non riconosciamo più nessuna autorità a Tripoli. Gli unici organi in Libia con suffragio popolare siamo noi e siamo gli unici che ci siamo spesi sinceramente per organizzare nuove elezioni, trovando l’ostruzione di Tripoli. Chiunque avrà a che fare con le autorità di Tripoli d’ora in avanti sarà considerato un nemico della Libia. Nei fatti, una pistola puntata alla tempia delle milizie libiche di Tripoli.

E qui precipitano gli eventi. Il 19 agosto scorso, sei giorni più tardi, Mohammed Takala, presidente dell’Alto consiglio di stato, organo non eletto in carica a Tripoli, con un colpo di mano destituisce Sadiq el-Kebir da governatore della Banca centrale, perché pur essendo in carica dalla fine del 2011 e pur avendo avallato tutto il saccheggio possibile in questi anni, non è più disposto a fare questo gioco. Il vento è cambiato. Viene nominato governatore Abdul Salam al-Shukri, ma per il Parlamento e per il governo di Bengasi è un colpo di mano. Significa letteralmente mettere le mani sui soldi libici senza aver alcuno straccio di mandato. La risposta del governo di Osama Hammad è stata dunque la chiusura dei pozzi di petrolio.

Con questa mossa il messaggio del governo di Bengasi all’Occidente è chiaro: la colpa per la chiusura dei pozzi non è nostra e d’ora in avanti non permetteremo più di finanziare l’occupazione di Tripoli con i soldi stessi dei libici. Chi ha firmato accordi con Tripoli negli ultimi anni sappia che sono carta straccia. In Libia fanno sul serio. Ormai solo un intervento militare sul modello del 2011 potrebbe cambiare il corso degli eventi riportandoli a favore del blocco occidentale.

Stephany Khoury, inviata speciale ad interim per la missione delle Nazioni Unite in Libia, diplomatica americana, prova in queste ore a rilanciare un forum di dialogo per indire nuove elezioni. La solita ricetta: le regole per le elezioni le stabiliamo noi e Saif Gheddafi, il popolare figlio dell’ex leader deposto nel 2011, non deve essere eletto. L’obiettivo di questi forum di dialogo appare sempre il medesimo: prendere tempo e rinviare nuovamente le elezioni. È la stessa ricetta da 3 anni a questa parte. Non funzionerà.

Intanto l’Esercito nazionale libico è alle porte di Ghadames, in direzione della Tripolitania. Chi ha impedito a tutti i costi le elezioni in Libia in questi ultimi tre anni si dovrà assumere la responsabilità di quello che sta per succedere.

[di Michelangelo Severgnini*]

* Autore del documentario “Una storia antidiplomatica” (2024), che racconta le vicende della Libia dalla “rivoluzione del 2011” e del documentario “L’urlo“, opera censurata che racconta il lato oscuro del traffico di migranti.

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