giovedì 5 Settembre 2024

Una nuova norma europea cerca di arginare il colonialismo dei rifiuti tessili

Le immagini di montagne di rifiuti tessili lasciate marcire all’aria aperta e visibili persino dallo spazio stanno facendo il giro del web, e del mondo, ormai da anni. E purtroppo non sono frutto di elaborati algoritmi di intelligenza artificiale, ma la realtà di un sistema che produce a dismisura, consuma rapidamente e getta senza ritegno. Il fatto che questi rifiuti finiscano sempre dall’altra parte del mondo, ben lontano dagli occhi di chi li produce, fa parte di un colonialismo dei rifiuti che fa passare per beneficenza delle pratiche assolutamente invasive a carico di altri paesi. Fortunatamente, un freno d’emergenza sembra essere stato tirato grazie alla pubblicazione in gazzetta ufficiale del Regolamento UE 2024/1157 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, con una modifica del Regolamento CE 1013/2006 sulla spedizione dei rifiuti (REFIT); una svolta importante che punta a rafforzare e armonizzare le norme che regolano l’esportazione.

Secondo i dati ufficiali della Commissione Europea, le esportazioni tessili fuori dai confini dell’Unione sono costantemente in crescita: solo nel 2020 hanno raggiunto 1,4 milioni di tonnellate. I numeri, forniti nel rapporto ETC/CE – European Topic Centre on Circular Economy, fanno rabbrividire. A partire dalle quantità dei tessili usati esportati dall’UE che sono triplicate, da 550mila tonnellate nel 2000 (che non sono poche) agli 1,7 milioni di tonnellate nel 2019. Di questi prodotti tessili usati e scartati dai cittadini europei, quasi la metà (46%) è stata inviata in Africa per sopperire alla domanda di abiti usati a buon mercato (domanda reale o indotta, questa è un’altra questione), ma la maggior parte di questo abbigliamento, non più utilizzabile, finisce in discariche abusive a cielo aperto. Quello che non finisce in Africa, va in Asia (circa il 41%), dove sono attrezzati per lo smistamento e la rigenerazione degli stracci, ma una parte non idonea finisce comunque in discarica. In cima alla classifica dei paesi esportatori di rifiuti tessili europei c’è la Germania (36%), seguita dall’Olanda (14%) e dall’Italia (10%). Una situazione destinata ad aumentare esponenzialmente, soprattutto dopo l’applicazione sulla normativa per la raccolta separata obbligatoria dei rifiuti tessili che dovrebbe entrare in vigore nel 2025 (direttiva 851/2018). E che ancora non si sa bene in che maniera verrà applicata dai singoli stati membri.

Visto che impedire del tutto le esportazioni sembra complicato, questa nuova normativa tenta (almeno) di rendere le cose difficili. Nel dettaglio si «stabilisce che le esportazioni dall’UE di rifiuti non pericolosi potranno essere consentite solo per quei Paesi non OCSE a condizione che gli stessi diano esplicitamente il consenso a riceverli e siano in grado di dimostrare la loro capacità nel trattare questi materiali in modo sostenibile». La modalità sostenibile non è stata dettagliata e pertanto rimane oscura, ma anche per questo è stato imposto alle aziende esportatrici di verificare, tramite audit* (*controlli indipendenti) presso le imprese destinatarie della merce, che le condizioni siano realistiche e che la gestione avvenga in maniera corretta.

Oltre a normare l’esportazione, il nuovo regolamento “sollecita” caldamente lo scambio di questi rifiuti tra i paesi dell’Unione Europea con logiche di prossimità (possibilmente vicini) per favorire il riciclo ed il recupero in loco. Laddove si stanno sviluppando tecnologie ed impianti per un riciclo tessile sensato, meglio riconoscere il valore di questi scarti (che spesso non sono rifiuti, ma punto di partenza per materia prima ulteriormente trasformabile) e ridargli nuova vita, piuttosto che spedirli dall’altro capo del mondo lasciandoli decomporre (ed inquinare)  per secoli. Un invito ad una gestione efficiente ed efficace dei rifiuti tessili, investimenti sul riuso e riciclo nelle filiere europee e meno esportazioni selvagge a danno degli altri. In altre parole, una presa di responsabilità concreta. Che scaricare la nostra spazzatura sugli altri è decisamente insostenibile.

[di Marina Savarese]

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