martedì 1 Ottobre 2024

Una scoperta nelle profondità marine getta nuova luce sulle forme di vita che la abitano

La zona profonda e priva di luce dell’oceano, situata tra i 200 e i 1.000 metri sotto la superficie, è sorprendentemente povera di ferro, al punto da limitare la crescita di batteri, i quali, però, compensano producendo molecole che ne facilitano l’assorbimento dall’acqua circostante: è quanto emerge da una nuova ricerca guidata da scienziati dell’University of South Florida, sottoposta a revisione paritaria e pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature. Gli autori hanno spiegato che l’esperimento potrebbe rivoluzionare la nostra comprensione dei processi microbici negli oceani profondi e, soprattutto, fornire nuove stime e parametri riguardanti l’assorbimento del carbonio da parte degli oceani, il quale dipende fortemente dall’attività batterica e risulta fondamentale per mitigare il cambiamento climatico.

La regione analizzata, chiamata “zona crepuscolare”, è caratterizzata dal fatto che la luce solare non riesce a penetrare, creando così un ambiente buio e freddo. La mancanza di luce solare limita quindi la fotosintesi e, di conseguenza, la produzione primaria (ossia la produzione di materia organica da parte di organismi autotrofi come le piante) è quasi assente in quest’area. Tuttavia, come spiegato dagli autori dello studio, si tratta di una zona ecologicamente significativa, in quanto funge da transito per la materia organica che scende dall’epipelagico (la zona superficiale) verso le profondità oceaniche.

Per condurre la ricerca, gli scienziati hanno raccolto campioni dai 1.000 metri superiori della colonna d’acqua durante una spedizione attraverso l’Oceano Pacifico orientale, dall’Alaska a Tahiti. Ciò che hanno trovato nei campioni li ha «sorpresi»: nella zona crepuscolare i livelli di ferro – nutriente essenziale per la crescita dei batteri marini e di molti altri organismi – sono bassissimi ma, tuttavia, è stata riscontrata un’elevata presenza di siderofori, ovvero le molecole che si legano al ferro e lo rendono più facilmente assorbibile, sia nelle acque superficiali che tra i 200 e i 400 metri di profondità, ossia in una zona in cui si pensava che le concentrazioni di nutrienti avessero un impatto ridotto sulla crescita dei batteri.

«A differenza delle acque superficiali, non ci aspettavamo di trovare siderofori nella zona crepuscolare dell’oceano. Il nostro studio dimostra che la carenza di ferro è elevata per i batteri che vivono in questa regione in gran parte dell’Oceano Pacifico orientale e che i batteri usano i siderofori per aumentare l’assorbimento di ferro. Ciò ha un effetto a catena sulla pompa biologica del carbonio, perché questi batteri sono responsabili della scomposizione della materia organica mentre affonda attraverso la zona crepuscolare», ha affermato Tim Conway, professore associato di oceanografia chimica presso l’USF College of Marine Science e coautore della ricerca. Proprio come anticipato dal professore, infatti, i batteri svolgono un ruolo fondamentale nella decomposizione della materia organica che affonda verso le profondità oceaniche. Dopo aver scomposto il carbonio, questi lo rilasciano sotto forma di gas o lo immagazzinano nei sedimenti oceanici, facilitando così il processo descritto da Conway.

In conclusione, come spiegato dagli scienziati, scoprire la quantità di siderofori presente nelle profondità oceaniche è essenziale per prevedere come e quanto gli oceani possono contribuire a mitigare il cambiamento climatico. Grazie allo studio di tali molecole e al fatto che quindi la capacità dei batteri di recuperare ferro nella zona crepuscolare potrebbe essere maggiore del previsto, ulteriori studi potrebbero scoprire che gli oceani potrebbero raccogliere effettivamente più carbonio di quanto si pensasse in precedenza, e che questo fattore sicuramente dovrà essere tenuto in considerazione nella comprensione dei processi oceanici legati all’immagazzinamento del carbonio. «Per un quadro completo di come i nutrienti modellano i cicli biogeochimici marini, gli studi futuri dovranno tenere conto di queste scoperte. In altre parole, gli esperimenti vicino alla superficie devono espandersi per includere la zona crepuscolare», ha concluso Daniel Repeta, scienziato della Woods Hole Oceanographic Institution e coautore dell’articolo.

[di Roberto Demaio]

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