venerdì 27 Settembre 2024

In Amazzonia l’agricoltura industriale ha spazzato via i segni di un’antica civiltà

I segni dell’antica civiltà indigena che abitava parte dell’Amazzonia brasiliana, nell’odierno stato di Acre, sono ormai quasi del tutto scomparsi. Reperti archeologici inestimabili, come antiche strutture in terrapieno e geoglifi tracciati sul terreno, sono stati cancellati dall’espansione dell’industria agro-alimentare. Quest’ultima, approfittando della mancanza di tutela pubblica, ha sostituito questi antichi segni con piantagioni intensive di soia. Una situazione tanto più beffarda se si considera che fu proprio la deforestazione agricola a rivelare, negli anni ’70, questi reperti nascosti dalla foresta. Secondo un’inchiesta pubblicata da Bloomberg, negli ultimi anni almeno nove dei siti archeologici più importanti dell’area, alcuni estesi per oltre sei chilometri quadrati, sono stati distrutti. Questo ha cancellato gran parte delle tracce di una civiltà sviluppatasi circa duemila anni fa e prosperata per un millennio, un periodo di durata simile a quello dell’antica Grecia.

I geoglifi sono la prova di un’antica e sofisticata civiltà che aveva allineato il proprio calendario agricolo con i solstizi d’estate e d’inverno, introducendo anche alberi da frutto e noci. Questo dimostra come l’Amazzonia precolombiana fosse abitata da civiltà complesse. Lo Stato di Acre ospita la maggior concentrazione di questi siti in Brasile, scoperti solo negli anni Settanta, quando la giungla fu disboscata per piantare erba stellata africana e far pascolare il bestiame. All’epoca, la popolazione locale pensava che i misteriosi terrapieni fossero trincee della guerra con la Bolivia (1899-1903). Nessuno immaginava che strutture di tali dimensioni potessero esistere in Amazzonia. L’antica civiltà costruiva reti di geoglifi su pianure tra le valli fluviali. Una ricerca pubblicata lo scorso anno sulla rivista Science stima che nell’Amazzonia sud-occidentale restino ancora da scoprire almeno 10.000 di queste costruzioni, risalenti a un periodo compreso tra 500 e 1.500 anni fa. Oggi, la stessa terra, grazie al suo eccellente drenaggio, è diventata ideale per la coltivazione della soia, che in un decennio è diventato il principale prodotto di esportazione dello Stato di Acre.

I più grandi commercianti di materie prime del mondo acquistano soia dagli agricoltori brasiliani. Nel 2023 le esportazioni di soia dal Brasile hanno raggiunto un valore di 53,2 miliardi di dollari, con una previsione di ulteriore incremento. Il ritmo di crescita è stato il più rapido dal 2017, con un aumento del 32% rispetto all’anno precedente. In termini di volume, lo scorso anno le esportazioni sono salite a 102 milioni di tonnellate, registrando un incremento del 29% rispetto ai dati del 2022. Per l’anno in corso, le stime variano tra 140 e 155 milioni di tonnellate. Tra i più grandi acquirenti c’è, in assoluto, la Cina, con 74 milioni di tonnellate. Al secondo posto troviamo l’Argentina con 4 milioni di tonnellate, seguita dalla Spagna con 2,7 milioni. Dal 2013 al 2023, il tasso medio annuo di crescita in volume verso la Cina è stato dell’8,4%. Il Brasile sta seriamente mettendo in difficoltà la competitività della produzione e delle esportazioni di soia statunitense.

Come riportato da Bloomberg, l’intero settore agro-alimentare del Brasile ha un valore di 523 miliardi di dollari. Agricoltori e allevatori rappresentano il 24% del prodotto interno lordo del Paese, rendendo questo settore un pilastro dello sviluppo economico. Tuttavia, lo Stato brasiliano si sta dimostrando incapace di regolamentare efficacemente la compatibilità tra sviluppo economico, ambiente e patrimonio archeologico. Il risultato è che, sotto i colpi delle impetuose cifre a undici zeri dei profitti generati dalle esportazioni, anche i reperti delle antiche civiltà stanno soccombendo. Di fatto, il Brasile sta cancellando la propria memoria storica, protetta dalla foresta fino a una cinquantina di anni fa, poi scoperta e ora sacrificata sull’altare del mercato.

[di Michele Manfrin]

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1 commento

  1. Il ‘Brasile’ sta cancellando la memoria storica delle popolazioni vissute in quell’angolo di pianeta fino all’inizio del sedicesimo secolo. L’unica memoria storica che il ‘Brasile’ ha è quella importata dall’europa tramite la ‘Corona portoghese’. Che, appartenenendo alla cosiddetta cultura occidentale, non è quel gran che.

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