Crotone, Gela, Livorno, Pavia, Potenza, Ravenna, Taranto, Venezia. Quando si tratta del mondo della cultura italiana, il colosso energetico ENI ha le zampe un po’ ovunque. A rimarcarlo è un recente rapporto dell’Associazione A Sud redatto in collaborazione con il Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali. Il dossier approfondisce il legame tra ENI e cultura, osservando le iniziative di cui il gruppo si fa promotore, ed esplorando «le strategie di “cultural washing” attuate dall’azienda»; esso, insomma, intende svelare le modalità con cui ENI sfrutterebbe i propri progetti culturali (che vanno dalla sponsorizzazione della Serie A, a quella di feste locali o di ricorrenze simboliche come la Giornata Mondiale dei Bambini) per migliorare la propria immagine pubblica e distogliere l’attenzione dalle sue pratiche controverse ed eticamente discutibili nello sfruttamento di petrolio e gas. «L’operazione di ENI è una sofisticata forma di distrazione di massa», denuncia il rapporto: essa «mira a deviare l’attenzione dalle gravi responsabilità ambientali dell’azienda», e «tenta di costruire un’immagine di vicinanza alle comunità locali» attraverso la promozione di «narrazioni di sostenibilità e sostegno alla bellezza artistica» del Belpaese. Eppure, «questa visione nasconde un’eredità tossica lasciata in molti territori italiani».
Il rapporto di A Sud e CDCA è stato pubblicato venerdì 16 settembre e fa parte della campagna Osservatorio ENI e del programma Cultura Sostenibile della stessa A Sud. La «grandiosa opera di distrazione cognitiva» messa in piedi da ENI servirebbe ad «allontanare dal grande pubblico l’idea che l’azienda abbia ancora a che fare con il mondo petrolifero, avvicinare la sua immagine a un futuro sostenibile, rinnovabile, generosamente vicino alle comunità territoriali e promotore delle bellezze artistiche e paesaggistiche dell’Italia». Oltre che a ripulire la propria immagine, lo scopo ultimo delle iniziative di ENI sarebbe quello di convincere il grande pubblico «che un mondo green è possibile solo se lasciamo fare ai grandi player economici, gli stessi che ci hanno consegnato un futuro gravemente compromesso», e a distogliere l’attenzione dalle pratiche speculative e poco sostenibili dell’azienda. Un ruolo fondamentale in questa operazione sarebbe svolto dalla Fondazione Enrico Mattei. Essa si auto-definisce come un «centro di ricerca internazionale no profit, rivolto alla ricerca di alta qualità, innovativa, interdisciplinare e scientificamente rigorosa nell’ambito dello sviluppo sostenibile». Tra i suoi scopi vi sarebbe anche quello di «studiare problematiche di particolare interesse del Gruppo ENI», per orientare le politiche aziendali. Tuttavia, a detta del rapporto, sembrerebbe «che il suo ruolo sia quello di confermare le scelte del management, fornendo a esse un’aura di oggettività scientifica».
L’accusa lanciata da A Sud e CDCA, insomma, è che ENI sfrutti le ricerche della Fondazione Mattei, contornate da un alone di presunta scientificità, per orientare le persone a optare per soluzioni utili all’azienda. Per quanto il Direttore della Fondazione, Alessio Lanza, abbia apertamente sostenuto che «le ricerche del gruppo non vengono commissionate dall’ENI e l’ENI non chiede alla Fondazione specifiche ricerche», le ipotesi di A Sud e CDCA non sembrano avere difficoltà a trovare riscontro: è il caso della promozione di ricerche che finiscono per suggerire di puntare sui biocarburanti, «guarda caso uno degli ambiti su cui punta maggiormente ENI per la decarbonizzazione dei trasporti», o della conflittualità delle stesse parole di Lanza con quelle pronunciate da ENI, che aveva precedentemente comunicato ad A Sud e CDCA che l’azienda può chiedere alla Fondazione ricerche su temi specifici, contrariamente a quanto affermato dal Direttore. Un altro ambito del mondo della cultura e della ricerca su cui ENI investe particolarmente è quello universitario. Anche Greenpeace, in un rapporto del 2023, aveva parlato delle “sei zampe di ENI su scuole e università”. Lo stesso dossier di A Sud e CDCA rimarca come «nel 2023 ENI ha finanziato direttamente le università statali con un contributo di circa 10 milioni di euro», a cui si accompagna una presenza «molto più netta» attraverso i circa 150 progetti di scambio con gli atenei, tra corsi di laurea, e dottorati di ricerca. ENI ha inoltre attivi altri 23 progetti con CNR ed ENEA, i due maggiori enti pubblici per la ricerca.
Ultimi, ma non meno importanti sono tutti i progetti di diretto “cultural washing” a stretto contatto col territorio che il cane a sei zampe promuoverebbe in Italia, i quali si intersecano con le iniziative nel mondo delle università e della ricerca. Il rapporto ne identifica otto, che toccano province e comuni dal nord al sud del Paese. Uno dei casi più paradigmatici è quello di Gela, dove ENI, all’indomani della chiusura della raffineria nel 2014, ha avviato un progetto di rilancio del territorio con «un approccio che ha poco del culturale e molto del turistico». Il tutto sarebbe promosso per nascondere quelle «ferite mai rimarginate» che lo sfruttamento dell’azienda avrebbe inferto al territorio, da «l’inquinamento di acqua terra e aria» a «l’impatto sulla salute». Come Gela, a Porto Marghera, Venezia, dove ENI partecipa al piano per «far diventare Venezia la capitale mondiale della sostenibilità» nascondendo l’intenzione di realizzare un inceneritore di fanghi di depurazione civile in prossimità del canale industriale Sud. Oltre a Gela e Venezia, anche Crotone, Livorno, Ravenna, Taranto, e i comuni di Viggiano e Sannazzaro sono sede di analoghi progetti. ENI, dopo tutto, non è nuova a piani di sfruttamento del territorio poco etici. È il caso, emerso recentemente, dello sfruttamento delle acque territoriali palestinesi, per cui il colosso dell’energia italiano ha ricevuto il permesso di esplorazione dallo stesso governo israeliano.
[di Dario Lucisano]