giovedì 21 Novembre 2024

Ergastolo a Gaetano Scotto, ritenuto l’anello di congiunzione tra mafia e servizi segreti

A 35 anni dal tremendo omicidio del poliziotto Nino Agostino e della sua giovane moglie Ida Castelluccio, incinta di due mesi, la Corte d’Assise di Palermo ha condannato all’ergastolo boss Gaetano Scotto, boss dell’Arenella. Per lo stesso reato è già stato condannato alla massima pena, con rito abbreviato, il boss Nino Madonia, punto di vertice del mandamento di Resuttana, una delle compagini più sanguinarie di Cosa Nostra. Anche su questo delitto, avvenuto il 5 agosto del 1989 a Villagrazia di Carini (Palermo), si stagliano pesanti ombre sull’asse dei rapporti mafia-servizi segreti. Di cui Gaetano Scotto, come ricostruito da diversi pentiti ed evidenziato in Aula dai magistrati, sarebbe uno dei protagonisti più importanti.

Per comprendere l’importanza della condanna emessa a carico di Scotto, occorre fare un passo indietro. Il giorno dell’omicidio, i neo sposi Agostino e Castelluccio, erano al villino dei genitori del poliziotto, a Villagrazia di Carini. Verso sera, mentre si trovavano di fronte alla villa, arrivò una motocicletta con due persone che iniziarono a sparare. Il primo a cadere fu Antonino, che aveva cercato di fare scudo alla moglie. Quest’ultima, da terra, urlò ai killer: «Vi conosco». Uno dei killer la uccise sparandole al cuore. Nelle ore successive, dopo che l’appartamento di Agostino fu perquisito dagli uomini dello Stato, importanti appunti investigativi che l’agente teneva a casa svanirono nel nulla. A ciò si somma un’altra inquietante vicenda: il padre del poliziotto, Vincenzo Agostino, ha più volte raccontato di una strana visita ricevuta a casa poche settimane prima che il figlio venisse assassinato. L’ospite inatteso, all’epoca a lui completamente ignoto, sarebbe stato Giovanni Aiello. Noto con l’appellativo di “Faccia da mostro”, questi lavorò come poliziotto – alla fine degli anni ’60 era un agente della squadra mobile di Palermo ed il suo capo era Bruno Contrada, successivamente condannato per concorso esterno – fino al 1977, anno in cui andò in congedo. Aiello, attivo come 007 tra gli anni Ottanta e Novanta, è stato additato da molti confidenti e pentiti – tra cui Luigi Ilardo, Vito Lo Forte e Consolato Villani – come una delle figure di raccordo tra Cosa Nostra e le frange deviate dei servizi, direttamente coinvolto in delitti di mafia. «“Faccia da mostro” era venuto a cercare mio figlio (che non era presente in casa, ndr) assieme a un’altra persona verso l’8-10 Luglio 1989 – ha raccontato Vincenzo a FanPage -. Questa persona che mi chiede di mio figlio Nino è entrata dentro casa mia senza bussare e mi fa questa domanda. (…) Esce nuovamente senza salutare e io lo rincorro sulla strada. Gli dico: “Senta, ma lei chi è?”. Si volta una persona a cavalluccio della motocicletta e mi dice: “Digli che siamo colleghi”. Mio figlio ritorna dal viaggio di nozze e io lo vado a prendere all’aeroporto di Catania e mi fa una domanda: “Papà, ma ti ha seguito qualcuno?”. “Nino, ma chi vuoi che mi segua? Fammi capire qualcosa…”, e mio figlio mi dice “Papà, non ti preoccupare”». Aiello è deceduto nel 2017, mentre era indagato dalla Procura di Reggio Calabria nell’inchiesta sulla “’Ndrangheta stragista”.

Su questo spaccato aleggia la figura di Gaetano Scotto, appena condannato all’ergastolo, capomafia dell’Arenella e braccio destro del già condannato Nino Madonia, numero uno del mandamento di Resuttana. Le cui famiglie, secondo la Procura, intrattenevano rapporti diretti con i servizi di sicurezza. Poco prima di morire, a caccia dei latitanti di Cosa Nostra, Agostino faceva i suoi appostamenti fuori da Vicolo Pipitone, centro nevralgico delle attività dei boss del mandamento di Resuttana. Lo stesso luogo in cui, come riferito in aula dal boss dell’Acquasanta (cosca di Resuttana) Vito Galatolo, sarebbero entrati personaggi come Bruno Contrada e altri uomini appartenenti alle istituzioni. I legami tra Scotto e «uomini esterni a Cosa Nostra» sono stati confermati in Aula anche dal collaboratore di giustizia Angelo Fontana. Un altro importante pentito, Francesco Onorato, ha riferito che Cosa Nostra aveva costituito una propria “decina” a Roma – col compito di curare nella Capitale i rapporti con i servizi segreti -, a capo della quale ci sarebbe stato proprio Gaetano Scotto. Nella requisitoria al processo sul delitto Agostino, il pm Domenico Gozzo ha spiegato che, fra i «complessi rapporti» di Scotto «con appartenenti delle istituzioni», vi erano «il capo di carabinieri dell’Acquasanta, il maresciallo Salzano; il dottor D’Aloisio dell’Alto Commissariato; e un poliziotto della scorta del dottor Giovanni Falcone, il Guttadauro». Uno scenario che colloca «indubbiamente Scotto al centro sia come mandamento sia per le relazioni personali dell’‘affaire’ che riguarda i rapporti tra l’associazione mafiosa e parte delle organizzazioni di polizia e dell’intelligence che è dietro a tutti gli omicidi dei cosiddetti cacciatori di taglie».

Il giorno del funerale di Agostino, indicando la bara, Giovanni Falcone confidò a un suo amico commissario: «Io a quel ragazzo devo la vita». 44 giorni prima, il giudice era infatti scampato al fallito attentato all’Addaura. Falcone si riferiva, plausibilmente, all’intervento che sarebbe stato effettuato via mare fra la borgata dell’Acqusanta e la scogliera l’Addaura da Nino Agostino e, probabilmente, da un altro agente sotto copertura del SISDE, Emanuele Piazza, ucciso e fatto sparire nel nulla nel marzo 1990. Dalle inchieste svolte negli anni a venire, è infatti emerso che Agostino, il giorno del fallito attentato, era in servizio proprio nella zona dell’Addaura. E che, nei giorni successivi, avrebbe svolto indagini per identificare chi aveva trasportato sugli scogli il borsone carico di esplosivo che avrebbe dovuto mettere al tappeto il giudice. Non ne ebbe il tempo.

[di Stefano Baudino]

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