sabato 23 Novembre 2024

Israele a Jabaliya sta minuziosamente attuando un nuovo capitolo del genocidio palestinese

Da dieci giorni, nel nord della Striscia di Gaza, l’esercito israeliano sta portando avanti uno dei più mortali assedi dell’ultimo anno. Tutto è iniziato il 6 ottobre, quando le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno ordinato ai 400.000 cittadini rifugiatisi nell’area di abbandonare le proprie abitazioni e migrare a sud. Da allora, quadricotteri, droni, e aerei israeliani sorvolano la zona, sparando indiscriminatamente su tutto e tutti; parallelamente, i carri armati e i soldati di fanteria hanno formato un lungo cordone che chiude ogni possibile via di uscita a sud. Operatori sanitari e giornalisti non stanno venendo risparmiati dal massacro, i rifornimenti di cibo, acqua e carburante sono stati tagliati, mentre intanto i feriti vengono abbandonati in strada, impossibili da raggiungere sotto i colpi d’artiglieria. In totale, negli ultimi dieci giorni, sono morte tra le 300 e le 400 persone. E così, come denuncia Francesca Albanese, «mentre parliamo, scriviamo, twittiamo, singhiozziamo», i palestinesi stanno venendo decimati, «da parte di israeliani che hanno accettato di essere “volontari carnefici” di un piano genocida», che, da un anno, viene supportato da armi e sostegno occidentali.

La brutale operazione militare israeliana ha già preso il nome di “assedio di Jabaliya”, anche se, in realtà, sono state rinchiuse entro il cordone di carri armati e soldati israeliani anche le città di Beit Hanun e Beit Lahia. Il piano sembra essere calcolato nei minimi dettagli: secondo un programma operativo visionato dall’agenzia di stampa Associated Press, Netanyahu starebbe valutando di interrompere i rifornimenti di cibo e acqua «nel tentativo di far morire di fame i militanti di Hamas» intrappolati nell’area; secondo il piano, «coloro che rimangono saranno considerati combattenti», status che consentirebbe alle IDF di prenderli di mira. L’idea sarebbe insomma quella di far morire di sete e fame i miliziani rinchiusi in un’area di una manciata di chilometri quadrati senza lasciare loro via d’uscita; un piano che, già letto così, potrebbe apparire spietato. Peccato che, secondo quanto riportato da giornalisti attivi nella zona, operatori umanitari, e organismi internazionali (Programma Alimentare Mondiale), esso sia già attivo da giorni, e coinvolga l’intera popolazione del nord di Gaza. I rifornimenti alimentari, medici ed energetici, infatti, sono stati tagliati già in data 1 ottobre, mentre da domenica 6 ottobre, Jabaliya, Beit Hanun, e Beit Lahia risultano completamente accerchiate e isolate. Molti civili, scoraggiati, si rifiutano di abbandonare le proprie abitazioni, convinti che, anche migrando verso sud, la situazione non migliorerebbe; effettivamente, secondo varie testimonianze l’aviazione israeliana avrebbe preso di mira le stesse persone in fuga.

L’area sotto assedio

Come già emerso in numerose altre occasioni, gli ordini di evacuazione non starebbero, insomma, fornendo ai cittadini il tempo sufficiente per andarsene, e sembrerebbero piuttosto volti a costringerli a uscire dai propri rifugi di fortuna, rendendoli così bersagli più facili per fanteria e aviazione; da domenica 6 ottobre, infatti, centinaia di velivoli israeliani pattugliano l’area volando a bassa quota e sparando senza distinzione su civili, case e rifugi. L’8 ottobre, a due giorni dalla completa chiusura del nord, le IDF hanno ordinato anche agli operatori dell’ospedale di Kamal Adwan di abbandonare la struttura, lasciando feriti e malati senza assistenza. A partire dal giorno seguente, l’ospedale sta venendo colpito dai proiettili dei soldati israeliani. Anche la Mezzaluna Rossa Palestinese ha drasticamente ridotto le proprie operazioni, non avendo più ambulanze a causa del mancato arrivo del carburante. I giornalisti, inoltre, sono oggetto di attacchi diretti e deliberati, come testimoniato dal giornalista palestinese Hossam Shabat.

Nei giorni successivi, la situazione non è migliorata, e l’assedio è continuato con le stesse modalità. Il cordone terrestre si è progressivamente stretto attorno alle aree a nord di Gaza. I carri armati sono arrivati a insediarsi a 700 metri dai centri abitati, mentre artiglieria e quadricotteri hanno continuato a colpire obiettivi civili. Sabato 12 ottobre, Hossam Shabat scriveva pubblicamente: «Tutta Jabalia è sotto il fuoco. Moriremo tutti da un momento all’altro. Stiamo letteralmente vivendo i nostri ultimi momenti. Oh Dio, dacci un bel finale». Il giornalista è ancora operativo. «Mi lascia senza parole pensare che sappiamo cosa sta facendo Israele e, nel complesso, non possiamo fermarlo. Guardando dove eravamo 100 anni fa, non sono stati compiuti molti progressi» scrive Francesca Albanese, rimarcando la complicità dei governi occidentali nei massacri in corso nella Striscia.

Mentre a nord le IDF cingono d’assedio l’intero governatorato di Nord Gaza non si fermano le operazioni nel resto di Gaza. Stanotte a Nuseirat, nel centro della Striscia, è stata presa di mira una scuola che fungeva da rifugio di emergenza per gli sfollati, dove sono state uccise 22 persone. Parallelamente, a Deir al Balah, sempre nel centro, le IDF hanno bombardato un campo profughi, facendo scoppiare un vasto incendio; per ora sono morte almeno 4 persone di cui alcune arse vive, ma viste le gravi ustioni dei feriti il bilancio delle vittime sembra destinato ad aumentare. Dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 42.289 persone, anche se il numero di morti totale potrebbe superare le centinaia di migliaia di persone, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet, e dalla recente lettera di medici volontari nella Striscia.

[di Dario Lucisano]

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2 Commenti

  1. Non ci sono parole per descrivere l’orrore di fronte alla ferocia di questi assassini, forti dell’impunità e delle armi fornite da Usa e vassalli. Non si può non sapere : come direbbe Gramsci, “odio gli indifferenti” e, aggiungo, i complici ipocriti dello sterminio del popolo palestinese.

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