sabato 19 Ottobre 2024

Il modello Albania non dura una settimana: i migranti devono già tornare in Italia

A meno di una settimana dal primo trasferimento di migranti nell’ambito del tanto discusso progetto di esternalizzazione, il “modello Albania” sembra già fare acqua da tutte le parti. Mercoledì 16 ottobre, quattro delle sedici persone portate in Albania sono state rispedite in Italia per mancanza di requisiti, mentre nella mattinata di ieri, venerdì 18 ottobre, il tribunale di Roma non ha convalidato i decreti di trattenimento degli altri dodici, perché non provenienti da Paesi sicuri: «Troverò una soluzione anche a questo problema», ha dichiarato Giorgia Meloni, criticando la scelta della magistratura; «Non credo sia competenza della magistratura definire quali siano Paesi sicuri e quali no. È competenza del governo». Nel frattempo, gli eurodeputati delle opposizioni di Pd, M5S e AVS hanno presentato un’interrogazione scritta, promossa dalla parlamentare europea Cecilia Strada, per chiedere all’UE se sarà avviata una procedura di infrazione contro l’Italia.

La prima nave partita dall’Italia per trasportare i migranti nelle strutture albanesi è partita lunedì 14 ottobre, giorno dell’entrata in funzione dei centri, ed è arrivata nel porto albanese di Shengjin mercoledì mattina. Qui, tra analisi mediche e identificazione, le sedici persone interessate hanno ricevuto i primi controlli di accoglienza, dai quali è emerso che quattro dei presenti non soddisfacevano i requisiti necessari per essere trattenuti: due di loro perché in cattive condizioni di salute, gli altri due perché minori. Questi quattro sono stati rispediti in Italia, mentre gli altri dodici sono stati trasferiti nella struttura di Gjader. Venerdì mattina, la mancata convalida del tribunale: i dodici migranti arrivati nella struttura di Gjader provengono infatti da Egitto e Bangladesh, Paesi che, secondo la recente sentenza della Corte di Giustizia europea, in conflitto con la normativa italiana, non possono essere definiti “sicuri”.

Visto che i requisiti fondamentali dei migranti perché possano essere trattenuti sono che essi siano persone di sesso maschile, «non vulnerabili» (almeno in prima istanza), e provenienti da Paesi «sicuri», essi sono stati tutti rispediti in Italia. Il loro rientro è atteso oggi, a bordo di una nave della guardia costiera. Una volta in Italia è difficile immaginare cosa potrà loro succedere, perché la commissione territoriale ha respinto la loro richiesta di asilo, decisione contro cui i migranti potranno fare ricorso. Nel frattempo, dovrebbero venire portati in un centro di prima accoglienza a Bari. Anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha annunciato che il governo farà ricorso contro la decisione del tribunale di Roma, dichiarando di essere pronto ad arrivare in Cassazione.

I due centri per l’accoglienza in Albania sono al centro della discussione sin dal loro annuncio. L’accordo con Tirana costerà all’Italia quasi un miliardo di euro, ha la durata di cinque anni, e potrà essere tacitamente rinnovato per altri cinque. Esso presenta numerosi problemi di natura giuridica, primo fra tutti proprio quello relativo alla definizione di “Paese sicuro”, su cui Italia e UE non concordano. L’accordo non definisce inoltre in maniera chiara quali siano le procedure in caso di richiesta d’asilo respinta – quali autorità se ne faranno carico, in che modo verrà effettuato il rimpatrio verso Paese terzo o di origine e così via. Anche sui numeri non vi è chiarezza: se infatti, da un lato, la capienza complessiva dei nuovi centri è di poco più di mille posti, il protocollo definisce che «il numero totale di migranti presenti contemporaneamente nel territorio albanese non potrà essere superiore a tremila».

[di Dario Lucisano]

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