mercoledì 30 Ottobre 2024

La storia verrà a chiederci dove eravamo al tempo del genocidio

Nel momento in cui scriviamo i palestinesi uccisi direttamente dalle bombe e dalle pallottole dell’esercito israeliano sono 43.824, di cui 16.765 bambiniE sono numeri che non tengono conto di coloro che sono stati uccisi dalla mancanza di cibo, dalle infezioni, da malattie e ferite non curate negli ospedali distrutti. Solo nell’ultima settimana la cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente” ha commesso almeno cinque stragi con più di cento morti, ha messo fuori legge l’UNRWA, ossia l’unica agenzia internazionale che garantisce gli aiuti umanitari ai civili palestinesi, e continua ad assediare centinaia di migliaia di persone nel nord della Striscia di Gaza impendendo loro di ricevere ogni bene di prima necessità, cibo e acqua compresiIn un anno, l’esercito di Tel Aviv ha raso al suolo duecentomila case, l’87% delle scuole e il 68% delle strade di Gaza; 19 ospedali su 36, con i restanti che funzionano tra mille difficoltà, privi di medicinali salvavita e anestetici. Sono stati uccisi anche 304 operatori umanitari e 174 giornalisti, segno di come per Israele anche chi aiuta i civili e chi racconta la devastazione in corso sia un obiettivo.

A testimoniare come questa immane tragedia umanitaria sia il deliberato frutto di un disegno che si nutre di odio etnico e razziale sono le stesse parole dei vertici politici israeliani. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha affermato che Gaza è abitata da «animali umani», precisando che sia giusto lasciarli «senza elettricità, cibo, benzina e acqua». Il ministro per gli Affari di Gerusalemme, Amihai Eliyahu, ha dichiarato che userebbe una bomba atomica su Gaza. Il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha più volte definito i palestinesi «bestie». L’ex generale dell’esercito israeliano, Giora Eiland, ha rivendicato che l’obiettivo deve essere quello di «creare un disastro umanitario senza precedenti a Gaza».

Verrà un giorno in cui le generazioni che prenderanno il nostro posto su questo pianeta collocheranno la tragedia palestinese nella sua ovvia cornice: quella che ricorda, a eterna memoria, i tremendi genocidi del passato di cui l’umanità si deve vergognare, impegnandosi affinché non accadano mai più.

Le prossime generazioni studieranno il genocidio palestinese sui libri di scuola e, così come noi abbiamo fatto con l’Olocausto, si chiederanno non solo perché i governi lo abbiano permesso, ma anche perché così pochi abbiano mosso un dito per impedirlo. Cosa risponderemo loro? Chi visse durante i grandi genocidi del passato ha abitato tempi in cui si poteva sempre dire di non essere al corrente di quanto stava accadendo o che, comunque, non si riusciva a percepire in tutta la sua gravità la portata della tragedia. Ma noi sappiamo tutto: conosciamo i numeri di questa carneficina; abbiamo visto in tv e sui social i volti di migliaia di bambini uccisi o traumatizzati; abbiamo visto i soldati dell’esercito carnefice giocare tra le case e le scuole distrutte, ridendo dei sogni spezzati di migliaia di bambini.

Sembra che il perdurare di questo massacro renda molte persone più indifferenti: «Anche oggi 40 morti in una scuola bombardata? Non se ne può più di queste immagini, cambio canale». Se, quando la Storia verrà a chiederci dove eravamo durante il genocidio palestinese, vorremo avere una risposta degna, da esseri umani, è ora di rimboccarsi le maniche. Le cose che si possono fare sono tante, basta superare la solita passività da social network.

In tutte le città sono attivi gruppi per la Palestina, è tempo di unirsi a loro. A Gaza sono ancora attive, tra mille difficoltà e rischi, organizzazioni dal basso che aiutano i civili, come l’italiana SOS Gaza: una piccola donazione mensile può servire a tanto. E poi c’è il boicottaggio economico: il governo israeliano ne è terrorizzato al punto da aver inserito, da anni, i gruppi che lo promuovono nella lista delle organizzazioni terroristiche. È ora di andare a fare la spesa con in tasca l’elenco dei prodotti da non acquistare, quelli dei marchi che collaborano attivamente con le politiche israeliane. Non è difficile: all’inizio richiede un minimo sforzo di organizzazione e memoria, poi quella ventina di loghi ti si fissa nella mente ed evitarli diventa naturale. La lista completa è disponibile sul sito bdsitalia.org (ma anche, in versione ridotta ma piuttosto esaustiva, in questo articolo pubblicato su L’Indipendente) e osservarla può cambiare molto, perché nessuna politica di prepotenza può continuare se si prosciugano i fondi economici che la tengono in vita.

[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]

Questo editoriale apre il Monthly Report di ottobre 2024, il mensile de L’Indipendente, che è disponibile per gli abbonati e in vendita a questo link.

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